Giove: fotografia digitale

Da Sezione Pianeti UAI.

INTRODUZIONE

Le fotocamere digitali comparse all'inizio del secolo hanno portato una rivoluzione nell’osservazione amatoriale dei pianeti. Per secoli, Giove era stato seguito visualmente, in una strenua battaglia per strappare fugaci impressioni dei particolari all'agitazione atmosferica. Un piccolo gruppo di osservatori ha ottenuto scarsi risultati con la vecchia fotografia "chimica", e meno ancora sono stati quelli che hanno tentato la strada della prima fotografia digitale.

Con l'avvento delle "webcam", sono stati messi a disposizione strumenti versatili, dal costo contenuto, nemmeno nati con intenti astronomici, che permettono di riprendere decine, centinaia o addirittura migliaia di fotogrammi in rapida successione, con ottima sensibilità e potere di risoluzione, e a fianco di questi sono stati sviluppati programmi, scaricabili gratuitamente dal web, che permettono di allineare, sommare ed elaborare questi fotogrammi attraverso algoritmi matematici che esaltano il segnale e riducono drasticamente il "rumore", combattendo in modo efficace l'agitazione atmosferica, e portando la risoluzione delle immagini a coincidere praticamente con quella teorica del sistema ottico.

Oggi la fotografia digitale è così popolare da aver quasi completamente soppiantato l'osservazione visuale. Intere categorie di fenomeni del pianeta, che prima erano conosciuti e seguiti quasi solo dai professionisti, magari attraverso le foto dei telescopi spaziali e delle sonde, sono divenuti facile preda dell'astrofilo comune.


SCOPI

Una buona immagine digitale può essere misurata tramite software dedicati (WinJUPOS, Planet Miner, ...), producendo la posizione in latitudine e longitudine di decine di macchie con incertezze dell'ordine del grado. Ciò permette di studiare i moti delle correnti atmosferiche del pianeta e la loro evoluzione. Si possono ottenere misure di latitudine delle fasce e zone, e produrre agevolmente planisferi utili per uno studio d'insieme, esteticamente gradevoli e didatticamente efficaci, a partire da un certo numero di immagini di buona qualità, concentrate nel tempo (1-2 giorni), che coprano tutte le longitudini del pianeta.

Se la fotocamera ha una buona linearità di risposta (equipaggiata con un sensore CCD di qualità), si può fare fotometria nel visuale, nel vicino infrarosso o in particolari bande spettrali. Per esempio, si può ottenere un profilo dell'intensità lungo il MC e, confrontando le risposte nel rosso e nel blu, evidenziare l’andamento in latitudine dell'"indice di colore". La cosa è agevole con l'impiego di certi software gratuiti (IRIS).

L'impiego di filtri riproduce l'aspetto del pianeta in funzione della lunghezza d'onda. Nel vicino infrarosso la radiazione emerge da uno strato atmosferico più profondo delle nubi visibili, e molti dettagli appaiono più definiti e contrastati. L'ultravioletto sonda una quota più alta, così come le bande di assorbimento del metano (la più usata a 889 nanometri), nelle quali il pianeta è molto scuro, ma gli strati nuvolosi più elevati, sopra i quali l'assorbimento del gas è minore, appaiono decisamente brillanti (la EZ, la Grande Macchia Rossa, alcuni ovali anticiclonici).


ACQUISIZIONE

La minima apertura per ottenere buoni risultati è attorno a 18-20 cm, ma si possono impiegare con qualche utilità anche rifrattori da 13-15 cm. Quasi tutte le webcam possono essere impiegate con successo; in quelle concepite per uso non astronomico, si deve poter rimuovere la lente anteriore. Sono particolarmente popolari i modelli "Toucam" e "Vesta" della Philips (i primi, non più prodotti dalla casa madre, si trovano sul mercato dell’usato). Le webcam più semplici hanno un sensore CMOS, ma sono preferibili quelle provviste di CCD. Si possono impiegare macchine fotografiche digitali (Canon). Vi sono poi le fotocamere concepite appositamente per l'astronomia, fra cui alcune, piuttosto care, di qualità superiore (Lumenera).

Per sfruttare il potere di risoluzione del sistema ottico, si deve disporre di una focale equivalente di almeno 8-10 m. Il limite è imposto dal seeing e dalla luminosità dell'oggetto da riprendere (trasparenza atmosferica), e si ottiene con una Barlow, oppure con il metodo afocale (interposizione di un oculare). Va posta molta attenzione alla fuocheggiatura e alla collimazione, poiché l'imaging digitale, che sfrutta a fondo le potenzialità del telescopio, è più sensibile dell'osservazione visuale sotto questi aspetti.

Per altre questioni tecniche l'osservatore deve conoscere e padroneggiare il proprio sistema, e l'esperienza è insostituibile maestra. Il numero di fotogrammi al secondo (frame rate) è limitato dalla luminosità dell'oggetto ripreso e dalla velocità di trasmissione dei dati attraverso il cavo USB e il PC; un frame rate di 15 fps (frame per secondo) è già buono, raramente si può salire a 30 fps. L'amplificazione del segnale in entrata (gain) dev'essere tale che i livelli di intensità in ingresso corrispondano al meglio alla dinamica digitale, evitando di arrivare alla saturazione.

Le camere digitali sono sensibili fino alla lunghezza d’onda di circa 1 micrometro. Per rappresentare il pianeta in maniera vicina all'aspetto visuale, va eliminata la componente al di sopra dei 700 nanometri, con l'impiego di un filtro taglia-infrarosso (IR cut). E' questo lo standard raccomandato dalla Sezione Pianeti UAI. Se invece si vuole aumentare la visibilità e il contrasto dei dettagli, si può acquisire in prevalenza o solo nella banda IR, con l'impiego rispettivamente di un filtro rosso (come il W25) oppure di un più selettivo filtro che taglia le lunghezze d'onda inferiori a 700 nanometri (IR pass). In questo caso, si ha l’ulteriore vantaggio di ridurre l'effetto dell'agitazione atmosferica. Se non si filtra il segnale, la miscela di visibile e infrarosso genera immagini ancora utili per le misure posizionali, ma meno interpretabili dal punto di vista scientifico e comunque inadatte per la fotometria. Vale la pena di tentare l’acquisizione nel vicino ultravioletto, con un opportuno filtro che tagli il visibile sopra i 400 nanometri (e l'infrarosso!), e soprattutto nella luce del metano, con un filtro interferenziale a banda stretta centrato a 889 nanometri. In questi casi, la difficoltà principale è data dalla debolezza del segnale, che costringe a tempi di posa più lunghi.

Bisogna tenere conto della veloce rotazione del pianeta (0.6° al minuto) che, in funzione anche della risoluzione concessa dall'apertura e dal seeing, rischia di produrre un mosso. Per non sacrificare qualcosa alla nitidezza, si devono limitare i filmati a 2 minuti, massimo 3 in precarie condizioni osservative. Per lo stesso motivo, chi intende produrre un'immagine a colori a partire da foto nella banda R (rosso), G (verde), B (blu) ed eventualmente L (luminanza), dovrà ridurre in proporzione i tempi di posa di ciascun colore e cambiare velocemente i filtri (con l'uso di una slitta o una ruota portafiltri). Anche in questo caso bisogna inserire il filtro IR cut (la luminanza può essere costituita da una ripresa nell'infrarosso, fatte salve le considerazioni precedenti sulla validità scientifica di mischiare visibile e IR).

Infine, si deve mettere particolare attenzione alla corretta temporizzazione delle immagini. La complessità delle operazioni di ripresa tende a focalizzare l'attenzione dell'osservatore su altri dettagli, ma è del tutto irrazionale produrre immagini con risoluzione inferiore al secondo d'arco, potenzialmente in grado di produrre precise misure posizionali, ma assegnare loro un tempo approssimato o inesatto.

Il tempo deve essere stimato entro il minuto più vicino, per eccesso o per difetto (quindi, con un'incertezza massima di 30 secondi), meglio ancora se viene indicato il decimo di minuto. Va considerato il tempo di metà posa del filmato, che deve essere scritto immediatamente dopo l'acquisizione, nel nomefile del filmato stesso salvato nell'hard disk; questo eviterà di far confusione fra i molti filmati solitamente acquisiti nel corso di una sera. L'orologio del PC è di norma poco preciso, va sincronizzato all'inizio di ogni sessione osservativa con il segnale orario, il televideo o un servizio affidabile di ora esatta disponibile sul web. Il controllo del tempo dev'essere considerata una priorità assoluta durante la procedura di acquisizione e catalogazione dei filmati.


ELABORAZIONE

Fra i programmi di elaborazione più popolari, scaricabili gratuitamente dal web, troviamo Registax e IRIS; il primo è meno versatile, ma presenta un'interfaccia più "amichevole" per l'utente. Gli osservatori trovano più conveniente l'uno o l'altro in base a esperienza, esigenze e gusti personali. Esistono software potenti ma non gratuiti (Maxim DL). Per rifinire le elaborazioni, si possono usare generici programmi per fotografia (Adobe Photoshop).

Una volta acquisito il filmato del pianeta (AVI file), la prima operazione da fare è l'allineamento dei frame, che i programmi eseguono in automatico una volta selezionato uno dei frame migliori e, al suo interno, una "finestra" comprendente il pianeta o parte di esso. Il programma trova la migliore corrispondenza fra i frame, posto che il pianeta si sposta lievemente per dell'ondeggiamento del seeing e/o imperfezioni nell'inseguimento orario. Più ampia la finestra, più lento gira il programma, ma migliore è la corrispondenza. Alla fine, esso è presenta di solito i frame in ordine di qualità, per cui è facile decidere quanti sceglierne per l'ulteriore elaborazione, rigettando i meno nitidi. Se le condizioni del cielo sono state favorevoli, quasi tutti i frame sono utilizzabili, altrimenti conviene selezionarne il 50% o meno, a seconda dei casi, tenendo presente che per ridurre il "rumore" dovuto all'elettronica e al seeing conviene avere come minimo un centinaio di frame.

A questo punto il programma può sommare l'uno sull'altro i frame selezionati (stacking), producendo un'immagine grezza (raw image), che può apparire poco dettagliata, ma contiene tutte le informazioni del segnale in grado di essere evidenziate dal trattamento successivo. Per chi vuol fare fotometria, la raw image va usata senza ulteriori manipolazioni, in quanto è l'ultimo stadio nel quale si conservano rigorosamente i rapporti fotometrici del soggetto ripreso.

Il passo successivo è costituito dall'applicazione di algoritmi matematici di deconvoluzione, in grado di estrarre l'informazione nascosta nella raw image, rendendola nitida (sharpening). Si possono usare l'"unsharp masking", la "wavelet analysis" o altro; per attutire il rumore fine, si può applicare un "Gaussian blurr". In ciascun caso vanno impostati parametri che dosano l'elaborazione in base all'immagine da trattare. In questo campo vengono richiesti molta esperienza e intuito, e ci vogliono di solito parecchi tentativi prima di trovare la giusta "ricetta". Poiché la raw image è la sovrapposizione di molti frame durante i quali il pianeta si sposta erraticamente nel campo, non è solitamente necessario applicare la "dark frame" e il "flat field", come con la vecchia tecnica CCD. Il risultato può venire rifinito con altri programmi di fotografia per produrre un'effetto realistico ed esteticamente piacevole, bilanciando i colori, la luminosità, il contrasto, il gamma.

Nell'elaborazione va tenuto presente l'aspetto visuale del pianeta, al quale si deve tendere; qui si vede l'utilità di possedere una solida esperienza visuale. Ogni algoritmo matematico produce inevitabilmente artefatti, sui quali deve essere esercitato un vigile controllo. Ad esempio, è facile produrre aloni chiari attorno a macchie scure, o viceversa, e una buona diagnostica al riguardo sono le ombre dei satelliti in transito sul disco del pianeta; possono risultare alterate le dimensioni di macchie e linee, e l'aspetto dei confini fra regioni chiare e scure. Non di rado si producono dettagli del tutto artificiali, che possono assomigliare a quelli veri. Un effetto deleterio per le misure posizionali è la tendenza degli algoritmi di convoluzione a "mangiare" progressivamente il bordo del pianeta. Per questa e altre ragioni, è opportuno che l'elaborazione sia il più possibile "leggera".

E' possibile ridurre l'effetto della rifrazione differenziale dei colori, tanto più fastidiosa col calare dell'altezza del pianeta sull'orizzonte. L'effetto si compensa traslando lievemente fra loro i canali blu, verde e rosso dell'immagine, fino ad trovare la migliore registrazione. Nelle versioni correnti dei software di elaborazione, questa operazione si esegue senza difficoltà.

Infine, non bisogna dimenticare la calibrazione di luminosità, contrasto e soprattutto colore del monitor del PC. A volte quello che sembra un buon bilanciamento sul monitor del portatile, normalmente usato sul campo di osservazione, si rivela inadeguato quando la stessa immagine viene visualizzata sul monitor del PC di casa.


FORMATO DELLE OSSERVAZIONI E LORO UTILIZZO

Chi desidera che le sue immagini abbiano valenza scientifica, deve pensare al lavoro dell'analizzatore che dovrà consultarle, catalogarle, studiarle. Per questo scopo, la Sezione Pianeti UAI ha prodotto uno standard cui tutti gli aderenti dovrebbero uniformarsi.

Le immagini possono venire inviate privatamente al coordinatore, oppure rese pubbliche attraverso la mail list della Sezione, AstroHiRes. Le immagini migliori possono trovare ampia valorizzazione se inviate contemporaneamente a siti web internazionali dedicati alla raccolta sistematica delle osservazioni (ALPO, ALPO-Japan, PVOL, ...).

Lo standard UAI richiede che tutti i dati di accompagnamento di un'immagine siano scritti accanto al pianeta, sul file immagine: data, TU, autore, sito, seeing, trasparenza, strumento, camera, longitudine del MC, etc. Il nome del file deve contenere l'informazione della data e dell'ora di acquisizione, assieme al nome dell'autore. Le istruzioni complete per la distribuzione delle proprie immagini si trovano sul documento redatto da P. Tanga e collaboratori rintracciabile a (...indirizzo wiki...).

E' utile avere immagini in coppia, separate da alcuni minuti, per conferma reciproca dei dettagli fini. Per coprire al meglio le diverse longitudini, nel corso di una serata conviene riosservare a distanza di un’ora e mezza, periodo nel quale Giove ruota di circa 50°: con tale frequenza, ogni macchia transitata nel frattempo si troverà a non più di 25° dal MC nell'una o nell'altra immagine. Non va disdegnata l’osservazione quando il pianeta è basso sull'orizzonte, per sorvegliarne una frazione più vasta della superficie, anche se la risoluzione risulterà deteriorata.

I file raw originali andrebbero conservati, in vista di una possibile rielaborazione con parametri diversi. Sembra poco pratica la conservazione dei filmati AVI, piuttosto voluminosi per i supporti informatici correnti.

Per chi cerca una prospettiva più profonda, l'analisi delle proprie immagini può costituire un piacevole coronamento dell'attività osservativa: con l'ausilio di software quali WinJUPOS, Planet Miner, etc., è facile e divertente misurare le proprie e altrui immagini e trovare come, sera dopo sera, i dettagli evolvono e si muovono nell'atmosfera del pianeta, soggetti alle varie correnti atmosferiche. Questo aiuta a capire le ragioni per capire le problematiche osservative di Giove e fornisce un criterio per giudicare le proprie immagini ed eventualmente migliorare la propria tecnica.

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