Giove: fotografia digitale

Da Sezione Pianeti UAI.

Introduzione

Oggi la fotografia digitale è così popolare da aver quasi completamente soppiantato l'osservazione visuale. Intere categorie di fenomeni del pianeta, che prima erano conosciuti e seguiti quasi solo dai professionisti, magari attraverso le foto dei telescopi spaziali e delle sonde, sono divenuti facile preda dell'astrofilo comune.

Per un'introduzione generale alle tecniche, si vedano le pagine dedicate alla fotografia.

Una buona immagine digitale può essere misurata tramite software dedicati (WinJUPOS, Planet Miner, ...), producendo la posizione in latitudine e longitudine di decine di macchie con incertezze dell'ordine del grado. Ciò permette di studiare i moti delle correnti atmosferiche del pianeta e la loro evoluzione. Si possono ottenere misure di latitudine delle fasce e zone, e produrre agevolmente planisferi utili per uno studio d'insieme, esteticamente gradevoli e didatticamente efficaci, a partire da un certo numero di immagini di buona qualità, concentrate nel tempo (1-2 giorni), che coprano tutte le longitudini del pianeta.

Se la fotocamera ha una buona linearità di risposta (equipaggiata con un sensore CCD di qualità), si può fare fotometria nel visuale, nel vicino infrarosso o in particolari bande spettrali. Per esempio, si può ottenere un profilo dell'intensità lungo il MC e, confrontando le risposte nel rosso e nel blu, evidenziare l’andamento in latitudine dell'"indice di colore". La cosa è agevole con l'impiego di certi software gratuiti (IRIS).

L'impiego di filtri riproduce l'aspetto del pianeta in funzione della lunghezza d'onda. Nel vicino infrarosso la radiazione emerge da uno strato atmosferico più profondo delle nubi visibili, e molti dettagli appaiono più definiti e contrastati. L'ultravioletto sonda una quota più alta, così come le bande di assorbimento del metano (la più usata a 889 nanometri), nelle quali il pianeta è molto scuro, ma gli strati nuvolosi più elevati, sopra i quali l'assorbimento del gas è minore, appaiono decisamente brillanti (la EZ, la Grande Macchia Rossa, alcuni ovali anticiclonici).

Per rappresentare il pianeta in maniera vicina all'aspetto visuale, va eliminata la componente al di sopra dei 700 nanometri, con l'impiego di un filtro taglia-infrarosso (IR cut). E' questo lo standard raccomandato dalla Sezione Pianeti UAI. Se invece si vuole aumentare la visibilità e il contrasto dei dettagli, si può acquisire in prevalenza o solo nella banda IR, con l'impiego rispettivamente di un filtro rosso (come il W25) oppure di un più selettivo filtro che taglia le lunghezze d'onda inferiori a 700 nanometri (IR pass). Vale la pena di tentare l’acquisizione nel vicino ultravioletto, con un opportuno filtro che tagli il visibile sopra i 400 nanometri (e l'infrarosso!), e soprattutto nella luce del metano, con un filtro interferenziale a banda stretta centrato a 889 nanometri. In questi casi, la difficoltà principale è data dalla debolezza del segnale, che costringe a tempi di posa più lunghi.

Bisogna tenere conto della veloce rotazione del pianeta (0.6° al minuto) che, in funzione anche della risoluzione concessa dall'apertura e dal seeing, rischia di produrre un mosso. Per non sacrificare qualcosa alla nitidezza, si devono limitare i filmati a 2 minuti, massimo 3 in precarie condizioni osservative. Per lo stesso motivo, chi intende produrre un'immagine a colori a partire da foto nella banda R (rosso), G (verde), B (blu) ed eventualmente L (luminanza), dovrà ridurre in proporzione i tempi di posa di ciascun colore e cambiare velocemente i filtri (con l'uso di una slitta o una ruota portafiltri). Anche in questo caso bisogna inserire il filtro IR cut (la luminanza può essere costituita da una ripresa nell'infrarosso, fatte salve le considerazioni precedenti sulla validità scientifica di mischiare visibile e IR).

Infine, si deve mettere particolare attenzione alla corretta temporizzazione delle immagini. La complessità delle operazioni di ripresa tende a focalizzare l'attenzione dell'osservatore su altri dettagli, ma è del tutto irrazionale produrre immagini con risoluzione inferiore al secondo d'arco, potenzialmente in grado di produrre precise misure posizionali, ma assegnare loro un tempo approssimato o inesatto.

Il tempo deve essere stimato entro il minuto più vicino, per eccesso o per difetto (quindi, con un'incertezza massima di 30 secondi), meglio ancora se viene indicato il decimo di minuto. Va considerato il tempo di metà posa del filmato, che deve essere scritto immediatamente dopo l'acquisizione, nel nomefile del filmato stesso salvato nell'hard disk; questo eviterà di far confusione fra i molti filmati solitamente acquisiti nel corso di una sera. L'orologio del PC è di norma poco preciso, va sincronizzato all'inizio di ogni sessione osservativa con il segnale orario, il televideo o un servizio affidabile di ora esatta disponibile sul web. Il controllo del tempo dev'essere considerata una priorità assoluta durante la procedura di acquisizione e catalogazione dei filmati.

Formato delle osservazioni e loro utilizzo

Chi desidera che le sue immagini abbiano valenza scientifica, deve pensare al lavoro dell'analizzatore che dovrà consultarle, catalogarle, studiarle. Per questo scopo, la Sezione Pianeti UAI ha prodotto uno standard cui tutti gli aderenti dovrebbero uniformarsi. Si noti che il mancato rispetto di alcune regole di base può rendere l'immagine inutilizzabile.

Le immagini possono venire inviate privatamente al coordinatore, oppure rese pubbliche attraverso la mail list della Sezione, AstroHiRes. Le immagini migliori possono trovare ampia valorizzazione se inviate contemporaneamente a siti web internazionali dedicati alla raccolta sistematica delle osservazioni (ALPO, ALPO-Japan, PVOL, ...).

Lo standard UAI richiede che tutti i dati di accompagnamento di un'immagine siano scritti accanto al pianeta, sul file immagine: data, TU, autore, sito, seeing, trasparenza, strumento, camera, longitudine del MC, etc. Il nome del file deve contenere l'informazione della data e dell'ora di acquisizione, assieme al nome dell'autore.

E' utile avere immagini in coppia, separate da alcuni minuti, per conferma reciproca dei dettagli fini. Per coprire al meglio le diverse longitudini, nel corso di una serata conviene riosservare a distanza di un’ora e mezza, periodo nel quale Giove ruota di circa 50°: con tale frequenza, ogni macchia transitata nel frattempo si troverà a non più di 25° dal MC nell'una o nell'altra immagine. Non va disdegnata l’osservazione quando il pianeta è basso sull'orizzonte, per sorvegliarne una frazione più vasta della superficie, anche se la risoluzione risulterà deteriorata.

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