Marte: mappe e nomenclatura

Da Sezione Pianeti UAI.

Versione delle 08:10, 5 mar 2007, autore: Paolo (Discussione | contributi)
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Dopo i primi tentativi di Maedler (1830), Kaiser (1862-64) e Proctor (su osservazioni di Dawes, specialmente del 1864), fu il nostro Schiaparelli a rifondare, su basi rigosrosamente geometriche, l'analisi telescopica della superfice di Marte, detta appunto Areografia. La mappa che egli pubblicò nel 1878 a corredo della celebre Memoria Prima, si affermò come riferimento obbligato per tutta la comunità scientifica; con essa la nomenclatura introdotta per individuare le varie configurazioni - derivata da "nomi di geografia poetica e archeologia mitica" - divenne d'uso corrente, e sopravvive ancor oggi non solo nelle mappe foto-visuali, ma anche in quelle geomorfologiche che le sonde spaziali hanno permesso di realizzare. Innumerevoli sono le mappe realizzate negli ultimi cento anni, mappe che costituiscono una imponente documentazione delle variazioni a cui le macchie di Marte sono andate soggette.

Una delle più recenti, prodotta da sole osservazioni visuali allo scopo di fornire un valido riferimento recente, è stata disegnata da M. Frassati e P. Tanga sulla base di osservazioni e misure effettuate tra il 1988 e il 1999. Essa è una mappa ufficiale UAI del pianeta.

Mappa UAI di Marte, disegnata da M. Frassati e P. Tanga.

Le mappe del passato costituiscono a loro volta un riferimento di grande utilità. Per l'osservatore telescopico mediamente equipaggiato, e in ogni caso come strumento di consultazione immediata, la mappa dell'Unione Astronomica Internazionale (IAU) è tutt'ora validissima. Essa fu disegnata da Glauco de Mottoni nel 1957, e mostra l'aspetto medio delle macchie d' albedo risultante dall' analisi di un'ampia raccolta internazionale di osservazioni fotografiche ottenute nel periodo 1941-1952.

Mappa di G. de Mottoni, 1957.

La nomenclatura è limitata alle configurazioni maggiori - salvo poche omissioni - secondo una raccomandazione dell' IAU che suggeriva il solo uso delle coordinate per indicare i dettagli minori. L'aspetto generale del Pianeta mostrato dalla mappa è ancora soddisfacente, benchè nel frattempo siano intervenuti numerosi cambiamenti. Tra essi è il caso di ricordare l'affievolimento di Nephentes-Thoth (a NE della Syrtis Major) ed il ritorno alla piena visibilità di Ganges, una striscia scura che collega il Sinus Aurorae al Lunae Lacus (e non Palus).

In alternativa può essere usata la mappa del Lowell Observatory (1962), che si raccomanda per la grande precisione cartografica.

Rispetto ad essa i maggiori cambiamenti intervenuti concernono l'aspetto dei Mari Cimmerium e Sirenum, e la virtuale sparizione del Nodus Lacoontis.

Fino agli anni cinquanta, la mappa più dettagliata disponibile rimaneva quella di Antoniadi del 1930. Benchè utile ancor oggi, essa fu superata nel 1960 dall'opera di Shiro Ebisawa, al quale si deve una mappa estremamente dettagliata e ricca di riferimenti storici.

Questa mappa, certo d'uso non immediato, si raccomanda per le analisi più approfondite, e per l'identificazione dei particolari più minuti che un grosso telescopio può rivelare. A tal scopo essa ha acquisito particolare valore in quanto la raccomandazione suddetta della IAU in tema di nomenclatura non ha trovato pratica attuazione.

Le mappe citate presentano inevitabili differenze tra loro, e non manca qualche limitata difformità nell'attibuzione dei nomi; nell'insieme costituiscono tuttavia un corpus sostanzialmente omogeneo ed esaustivo.

Il confronto immediato dell'immagine telescopica con le mappe consente, e non sempre, di identificare i particolari maggiori e pochi altri, ne' potrebbe essere altrimenti dato che le mappe sono sempre la sintesi di lunghi periodi di osservazione, durante i quali ogni regione del Pianeta è esplorata nelle migliori condizioni mediante strumenti di grande apertura.

A seguito dell' esplorazione ravvicinata da parte delle sonde Viking è emersa la reale struttuta "areologica" della superfice marziana, e le mappe realizzate dall' US Geological Survey sono drammaticamente diverse da quelle foto-visuali. Alcune, tuttavia, rivestono considerevole interesse anche per l' osservatore telescopico. E' il caso delle mappe contrassegnate dalla sigla "Topo" che mostrano ad un tempo i rilievi (ombreggiati), i contorni di altezza e le macchie d' albedo.

In queste mappe figura una nomenclatura, per adesso ridotta, ricavata associando al nome proprio tradizionale quello comune che descrive la natura geomorfologica locale. Cosi' abbiamo, ad es., Tyrrhena Patera al posto di Mare Tyrrhenum, Solis Planum per Solis Lacus, Ascareus Mons invece di Ascareus Lacus e cosi' via. Nondimeno, anche a livello professionale, l'osservazione da terra continua ad essere descritta nei termini della gloriosa nomenclatura schiaparelliana.

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