La deconvoluzione Richardson-Lucy

Da Sezione Pianeti UAI.

Introduzione

Le tecniche di elaborazione basate su Wavelet e Maschera Sfocata sono le più semplici e diffuse, ma lasciano all'utente la scelta arbitraria su come applicarle: i parametri e il numero di iterazioni sono liberamente fissati da chi elabora, secondo il risultato che desidera raggiungere.

In ambito professionale questo approccio non sarebbe accettabile. In passato, quindi, sono stati ideati vari metodi di "ricostruzione" dell'informazione contenuta in un'immagine, basati su procedure che cercano di recuperare l'informazione presente ma nascosta da effetti di deteriorazione (ottici o atmosferici). Essi prendono nomi diversi, a seconda dei principi su cui sono basati: Massima Entropia (MEM), Richardson-Lucy (RL)... e ne sono state ideate mille varianti. Questi metodi, che hanno avuto un grande aumento di interesse all'epoca delle ottiche aberrate del Telescopio Spaziale Hubble, non vanno oltre un recupero fedele e onesto: ovvero, in teoria, non producono quindi un aumento artificioso del contrasto o della nitidezza, al di là del limite dell'informazione già presente nell'immagine. Inoltre, lasciano poca scelta all'utente. Al di là di un certo numero di iterazioni, se usati come previsto, l'immagine "converge" a un risultato che non si modifica ulteriormente.

Il vantaggio è un'elaborazione standard, che non dipende troppo dall'utente, e che conserva (anche se andrebbe verificato con attenzione) il contenuto fotometrico dell'immagine, ovvero la luminosità degli oggetti ripresi.

I dettagli appaiono morbidi e naturali, il che può essere un vantaggio in tanti casi, mentre in altri casi si preferisce mettere in evidenza il bordo e avere dettagli più incisi, ad esempio per facilitare le misurazioni. Ciò può essere ottenuto con qualche "sofisticazione" ulteriore (maschere sfocate dopo un'applicazione RL), che danno il risultato ricercato, alterando però in parte i vantaggi della deconvoluzione stessa...

Principio

Il principio del metodo di RL è semplice. Si può infatti considerare che l'immagine ripresa sia il risultato di un filtro applicato sull'aspetto "reale" dell'oggetto. Tale filtro lo si può rappresentare in tanti modi, ma quello più semplice e completo consiste nel riprendere, contemporaneamente all'oggetto esteso, una stella puntiforme. La deformazione della stella ci dirà, da sola, quale deformazione è introdotta in ogni punto dell'immagine.

Più rigorosamente, si dirà che l'immagine risultante è una combinazione matematica (detta "convoluzione") tra l'aspetto "reale" del pianeta e una funzione detta "funzione di dispersione del punto" (Point Spread Function, PSF) ottenuta, appunto, da un'immagine stellare.

La "deconvoluzione" è, appunto, il procedimento contrario: si tratta di "raccogliere" la luce sparpagliata dai vari punti che compongono l'immagine e "rimetterla al suo posto".

La procedura ha i suoi limiti (quelli ottici, al di sotto dei quali non si può scendere) e quelli imposti dall'inevitabile rumore presente nell'immagine. Questi sono i principali ostacoli e i vari metodi impiegati, RL compreso, adottano opportuni stratagemmi per evitare amplificazioni di dettagli inesistenti, ovvero che provengono dal rumore stesso. Resta tuttavia presente il rischio (ad esempio se si usa una "PSF" sbagliata) di veder fiorire sull'immagine una trama di falsi dettagli provenienti dal rumore.

Come si procede

Il metodo RL necessita di una PSF (immagine stellare) per funzionare. Siccome le nostre immagini planetarie derivano dalla somma di molti fotogrammi, è relativamente semplice riprendere un film in piu' (una stella non troppo lontana dal pianeta, che non saturi), nella stessa configurazione usata sul pianeta, e sottoporlo ad analogo trattamento (allineamento e somma). Quanti piu' fotogrammi ci sono, meglio è. Il risultato sarà un'immagine stellare corrispondente all'ottica in uso e deteriorata dall'effetto "medio" del seeing della serata.

La ripresa non sarà quindi proprio "contemporanea", ma è probabilmente difficile fare di meglio.

Con appositi comandi di IRIS, prima si porta vicino a zero il fondo cielo nelle immagini della stella e del pianeta, poi si copia il quadratino di immagine contenente la stella nell'immagine del pianeta da elaborare, a fianco del pianeta stesso.

Occorre quindi cambiare la dimensione del frame in modo che diventi un quadrato di dimensione pari ad una potenza di due (356 o 512): cio' evita che nascano artefatti e accelera enormemente il processo.

Si seleziona infine la stella, e si lanciano alcune iterazioni (tipicamente tra 10 e 30) del comando RL. L'immagine si modifica (in meglio!) ad ogni iterazione (principalmente nelle prime), cosa che permette di sorvegliare il processo.

Nelle immagini a colori il tutto deve essere ripetuto per i tre canali del colore.

Cosa si può verificare, in pratica?

  • Il numero di iterazioni non è critico per il risultato. L'algoritmo infatti è studiato per convergere verso una soluzione unica, che minimizza il rumore e amplifica il dettaglio compatibile con la PSF data.
  • Con certe configurazioni ottiche, non c'è bisogno di usare 3 PSF, una per ogni colore. Nel caso delle webcam il canale G (che ha migliore risoluzione spaziale) che funziona ugualmente bene per R e B (in presenza di cromatismo, le cose potrebbero cambiare).
  • Almeno in teoria, l'algoritmo di RL è stato creato espressamente per conservare l'informazione fotometrica, cosa che possiamo considerare valida almeno in prima approssimazione nel caso dei pianeti: non abbiamo pretese di precisione elevata e ci basta poter derivare informazioni ragionevoli sul colore.
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