Storia della Sezione Pianeti

Da Sezione Pianeti UAI.

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Prima dell'UAI: il GOPI

Negli anni '60, prima della nascita di associazioni formali, l'osservazione planetaria italiana da parte di non professionisti era già illustrata del lavoro di celebri personalità, come G. Ruggieri, M Falorni, P. Senigalliesi, G. Favero, che conducevano la loro attività in proprio, in genere appoggiandosi a Osservatori Astronomici professionali.

Verso la fine del decennio, l'esigenza di mettere insieme le forze per organizzarsi e produrre risultati più sistematici aveva prodotto la costituzione di un “Gruppo Osservatori Planetari Italiani” (GOPI), sorto all'inizio come “Gruppo Osservatori di Giove” (1969), i cui primi responsabili furono M. Falorni, E. Ignesti, P. Senigalliesi.

Il GOPI pubblicò sulla rivista italiana dei professionisti (le “Memorie” della SAIt) più di un pregevole lavoro, fra cui si ricorda:

 M. Falorni et al.: “Systematic Observations of Jupiter, apparition 1968-69”, Mem. SAIt, vol. 42, n. 1 (1971)  L. Pansecchi: “Seasonal Variation of the South Polar Cap of Mars”, Mem. SAIt, vol. 44, n. 1 (1973)

Sotto l'egida del GOPI, il Gruppo Astrofili Napoletani (GAN), guidato dai giovani fratelli Emilio e Paolo Sassone Corsi, organizzò uno studio sistematico di Saturno su base nazionale, che produsse risultati a partire dall'apparizione 1972-'73. Fu predisposta una scheda standard per le osservazioni visuali, in cui dovevano venire inserite stime di intensità luminosa, colore e misure di latitudine effettuate su disegni del pianeta. Ci si proponeva uno studio statistico delle piccole variazioni esibite dall'atmosfera di Saturno nel corso degli anni, studio poggiato su una base di dati per quanto possibile ampia.

Gli stessi Sassone Corsi produssero una mole notevole di osservazioni, usando il rifrattore da 18 cm messo a disposizione dall'Osservatorio Astronomico di Capodimonte (NA) e il riflettore Casségrain da 60 cm della Stazione Astrofisica Svedese di Anacapri (NA).

Le prime osservazioni di Saturno vennero riportate sul “Bollettino del GAN”, un foglio ciclostilato che uscì per alcuni anni, curato dai Sassone Corsi.

Gli inizi dell'UAI

L'UAI nacque nel 1967 come associazione dei gruppi locali di astrofili. All'inizio non fu strutturata in Sezioni di Ricerca, avendo solo un “Segretario Culturale” (R. Slager) e uno “Scientifico” (P. Andrenelli). Dunque non svolgeva un ruolo di organizzazione di osservazioni specifiche.

Pochi anni dopo, questa struttura mostrò i suoi limiti. In un'Assemblea straordinaria, tenutasi a Firenze l'8 dicembre 1974, burrascosa come altri momenti che hanno contrassegnato la vita dell'Unione, venne approvato un nuovo Statuto, che mutò l'UAI da associazione di gruppi ad associazione di singoli soci. Nacque la rivista sociale, “Astronomia”, e fu istituito un “Consiglio Direttivo”, che concepì e stimolò la nascita di “Sezioni di Ricerca”, gruppi di lavoro tematici, ispirati alle omologhe branche in cui si articolavano le maggiori organizzazioni amatoriali straniere, come la BAA inglese, la SAF francese, l'ALPO americana.

In seguito a queste vicende, il GOPI si scioglie per dare vita alla “Sezione Giove” UAI e il gruppo dei Sassone Corsi venne a sua volta cooptato come “Sezione Saturno” [Astr., 2, 1975, pp. 49-50].

Il primo rapporto osservativo che appare sulla rivista sono le “Osservazioni sistematiche di Saturno nell'apparizione 1973/'74”, a cura di E. e P. Sassone Corsi, A. Fabozzi, G. Fuccillo [Astr., 1, 1975, pp.31-39], nel quale “si riportano i risultati ottenuti dalle osservazioni visuali e fotografiche effettuate dal GOPI”. Furono analizzate circa 400 osservazioni fotografiche, ottenute col famoso riflettore da 45 cm dell'Osservatorio di San Vittore (BO), gestito da G. Sette, G. Sassi, C. Vacchi. Le osservazioni visuali (125) vennero, oltre che dal GAN, da una decina di altri osservatori, operanti con rifrattori da 60-108 mm e due riflettori da 12 e 25 cm. Fra questi, troviamo persone tutt'ora impegnate nell'UAI in varie posizioni, quali G. Adamoli, G. Bianciardi, A. Frosina. Si adottò la nomenclatura planetaria della BAA, così come la sua scala visuale di stima dell'intensità di fasce e zone, da zero (brillante) a 10 (nero o fondo cielo).

Le foto provenienti dall'Osservatorio di San Vittore sono il risultato di una tecnica altamente sofisticata, tanto più per l'epoca. Con l'interposizione di un “obiettivo cinematografico” della focale di 13 mm, l'asse maggiore degli anelli venne riprodotto sull'emulsione lungo circa 1 cm. Si usarono pellicole Kodak (RAR 2498, sensibile fino a 640 nm; Microfile con grana estremamente fine; High Speed Infrared che, con l'interposizione di un filtro RG5, dava un dominio spettrale fra 670-950 nm; le pose andavano da 2 secondi per la prima emulsione a 10 secondi per la terza). Inoltre: “Sulle emulsioni è stata impressionata una scala fotometrica tarata, di 11 gradini, per la determinazione della curva caratteristica della pellicola utilizzata; sono state anche impressionate la data, l'ora e l'esposizione di ogni singolo fotogramma (...) Per migliorare la risoluzione dei fotogrammi, si è ricorsi alla tecnica della sovrapposizione (da 4 a 6 fotogrammi) che ha permesso, soprattutto per i rilievi delle latitudini, una notevole precisione. Il materiale così ottenuto è stato analizzato al microdensitometro dell'Università di Bologna; i rilievi sono stati eseguiti lungo l'asse maggiore e l'asse minore degli anelli.” Si noti che lo “stacking” di più immagini non è invenzione di oggi!

Nelle conclusioni del rapporto: “Ci sembra opportuno ribadire la validità delle osservazioni sistematiche dei pianeti. In particolare, le osservazioni visuali hanno indubbio valore per studi statistici realizzati su lunghi archi di tempo, laddove è possibile porre in risalto eventuali periodicità di certi fenomeni e stabilirne le relative cause chimico-fisiche. Le osservazioni fotografiche, invece, possono dare, soprattutto se realizzate in varie regioni dello spettro, risultati a più breve scadenza e riguardanti più da vicino la struttura morfologica del pianeta. In questa stagione osservativa, ad esempio, i risultati più palesi ottenuti dalle osservazioni fotografiche sono la diversa luminosità del globo e della SSTB nelle diverse zone spettrali in cui si è fotografato. I risultati delle osservazioni visuali possono sembrare poco significativi se considerati isolatamente, ma si possono rivelare utili allorché si voglia fare un lavoro di sintesi che conglobi più anni di osservazione.”

Rapporti analoghi si susseguirono con regolarità negli anni successivi.

Nel 1975, il gruppo allacciò contatti con l'astronomia francese, in particolare il prof. J. Dragesco (SAF), che mise a disposizione foto di Saturno effettuate con il 105 cm dell'Osservatorio del Pic du Midi, e G. Viscardy, che produsse foto con un riflettore da 52 cm. Le immagini vennero analizzate al microdensitometro, per la fotometria lungo gli assi maggiore e minore del pianeta e degli anelli.

Nel frattempo, le ricerche italiane su Saturno vennero pubblicate anche sul giornale dell'americana ALPO (“The Strolling Astronomer”), inaugurando una consuetudine che continuerà negli anni sia per i rapporti di Saturno, sia per quelli di Giove, e che porterà il lavoro degli osservatori italiani a essere conosciuto e apprezzato in sede internazionale.

Gli osservatori italiani venivano regolarmente informati dell'attività tramite un bollettino interno; era a disposizione anche un servizio di distribuzione di copie di articoli scientifici che apparivano sulle principali riviste professionali.

Il rapporto su Saturno 1974-75 [Astr., 1, 1977, pp. 49-56] vide l'analisi dei risultati di quasi 30 osservatori visuali, più fotografie nel violetto, nel giallo e nell'infrarosso, ottenute col riflettore di Anacapri dai Sassone Corsi e A. Fabozzi. Vennero usate pellicole Kodak: Tri-X-Pan con filtri W34 (dominio spettrale 370-500 nm) o W9 (460-650 nm), e High Speed Infrared + filtro W89B (670-950 nm). Le foto furono compositate (fino a 4) e analizzate al microdensitormetro Joyce-Loebl dell'Istituto Nazionale di Genetica e Biofisica di Napoli.

Il 5 marzo 1978 E. e P. Sassone Corsi osservarono una macchia chiara nella EZ di Saturno, confermata successivamente l'11 e il 13. Se ne dette una primo annuncio sul n. 1/1978 di Astronomia, p.19, cui seguì una comunicazione più esauriente [Astr., 2, 1978, pp. 21-23], in cui si riferì della collaborazione con astrofili britannici per meglio definire il periodo di rotazione. Le osservazioni vennero comunicate anche in USA e Francia. Apparve un ulteriore resoconto nel rapporto annuale di quell'apparizione [Astr., 1, 1979, pp. 5-12].

Verso la fine degli anni '70, gli aderenti al gruppo erano saliti nominalmente a 50, ma va detto, e sarà sempre così, per tutte le Sezioni di Ricerca UAI, che a un alto numero di iscrizioni faceva riscontro un numero molto minore di osservatori effettivamente attivi. In questi anni il totale degli soci UAI stenta a raggiungere i 500.

I Sassone Corsi lanciarono nel 1976 un programma riguardante la variabilità spettrale di Titano, ovvero lo studio della luminosità del satellite confrontata, visualmente, attraverso filtri rossi e blu (W25 e W47). Tale campagna si svolse in collaborazione con la Sezione Stelle Variabili e con la Saturn Section della BAA. Si allacciarono contatti con il Direttore di tale Sezione, A. W. Heath, e con i francesi della SAF (J. Dragesco, C. Boyer, A. Dollfus, J. Rosch). Ne sortì un articolo finale che riportava una possibile modulazione del colore con la posizione orbitale, dall'analisi di circa 260 osservazioni 1977-78 e 1978-79, effettuate da italiani, spagnoli e inglesi [Astr., 1, 1982, pp. 10-14].

Per quanto riguarda la metodologia osservativa, i Sassone Corsi provano a riconciliare le intensità luminose stimate sulla scala europea e quella americana (usata anche in Giappone); quest'ultima ribalta il verso della luminosità dei gradini da 0 a 10 (zero è nero, 10 è brillante). Confrontando stime eseguite sulle due scale in 4 diverse apparizioni, essi trovano una formula empirica di trasformazione [Astr., 2, 1978, pp. 21-23].

Le apparizioni 1975-76, 1976-77 e 1977-78 di Saturno videro la collaborazione di J. Dragesco dal Pic du Midi, F. Jetzer da Bellinzona, A. Sanchez Lavega da Bilbao, G. Viscardy da L'Escarène; inoltre, degli spagnoli J. N. Alcalà e C. Schnabel, e del britannico P. Doherty. Si evidenziarono variazioni di intensità e latitudine di alcune fasce del pianeta.

I Sassone Corsi furono ospiti a Meudon nel settembre 1978, invitati dai prof. Dollfus e Servajean, e vi consultarono l'archivio dell'IAU Planetary Photographic Center, con l'intento di ricavare dati per future analisi di variazioni a lungo periodo. Questa visita produrrà un articolo sulle variazioni apparenti delle dimensioni degli anelli nel '900 [Astr., 3, 1981, pp. 3-9]. Alcune variazioni, in funzione dell'angolo di apertura degli anelli e del tempo, sembrarono in parte spiegabili con il miglioramento delle tecniche fotografiche nel corso del secolo. Un ulteriore articolo [Astr., 3, 1982, pp. 25-34] considerò invece le misure di latitudine dei bordi delle fasce e delle regioni polari, confrontate con dati di E. Reese e altri. Apparve un'evidente variazione dei bordi di SPR e NPR in funzione dell'inclinazione anulare e fluttuazioni meno pronunciate e difficilmente interpretabili di SEB e NEB.

Nel 1980, una nota della Sezione [Notiziario di Astr., suppl. al n. 2/1980, pp. 6-8] informò che era in corso la campagna osservativa 1979-80, con la presentazione degli anelli di taglio. Gli osservatori venivano stimolati a effettuare le stime di routine e la ricerca di eventuali macchie, inoltre si propose un programma fotografico per la determinazione della forma del globo (per chi aveva un'attrezzatura adeguata) e un programma di osservazione delle eclissi, occultazioni e transiti dei satelliti (in particolare Titano). Veniva ancora vantata un'intensa collaborazione con osservatori americani, francesi, inglesi, spagnoli, svizzeri.

Gli inizi della Sezione Giove

Si è riferito della nascita del “gruppo di lavoro su Giove” in ambito UAI [Astr., 2, 1975, p. 49-50]. Falorni scrisse sullo stesso numero della rivista un articolo sulla metodologia dell'osservazione di questo pianeta, che presentava il programma della nuova Sezione [Astr., 2, 1975, pp. 34-40].

Falorni argomentava: “La validità scientifica delle osservazioni visuali dei pianeti viene oggi sovente contestata, al punto che alcuni astronomi, professionisti e non, giudicano tale attività del tutto superata dai tempi.” Tuttavia, “...l'esplorazione strumentale ravvicinata del pianeta compiuta nei mesi scorsi dalla sonda Pioneer 11, se da un lato ha fornito informazioni preziose e in parte anche sorprendenti, non ha però migliorato sensibilmente le conoscenze morfologiche del pianeta “ottico” né, tanto meno, sembra aver fornito alcun nuovo elemento per interpretarne fisicamente la fenomenologia peculiare.”

Falorni ricorda l'evoluzione significativa della tecnica fotografica, esemplificata dai risultati dell'Osservatorio di San Vittore. Falorni propone che la Sezione Giove conduca osservazioni sia fotografiche che visuali ma, considerando l'estrema specializzazione delle prime, si sofferma sulla metodologia visuale, enunciando gli standard necessari per la comunicazione e la gestione delle osservazioni. Richiama la nomenclatura nota del pianeta, sostanzialmente quella del Peek [B. M. Peek, The planet Jupiter, Faber & Faber, London, 1958], e introduce una scala di valutazione del seeing che ricalca quella di Antoniadi, ritenuta sufficiente e di facile applicazione per gli scopi prefissi (“...né ci sembra utile distinguere fra trasparenza dell'aria e turbolenza”). Viene poi descritta la tecnica di stima dei transiti al Meridiano Centrale, per la determinazione delle longitudini. Se ne enfatizza l'importanza: “... questa attività deve essere considerata prioritaria rispetto a ogni altra, ivi compresa l'esecuzione dei disegni, che pure è molto importante, specialmente se il seeing è buono.”

L'attività della Sezione Giove si dedicherà negli anni successivi soprattutto alla produzione di misure di posizione: latitudine delle bande, e, attraverso stime visuali dei tempi di transito al Meridiano Centrale, la longitudine delle macchie, allo scopo di produrre grafici tempo-longitudine. Ci si dedicò alla ricerca di periodicità e correlazioni (con la posizione orbitale, con l'attività solare), in particolare per la GRS e le tre “white oval spot” a lunga vita BC, DE, FA; furono prodotti articoli da Senigalliesi, Favero, P. Zatti [Astr., 3, 1977, pp. 45-57] [Astr., 3, 1979, pp. 3-12] in cui tali correlazioni, soprattutto con il periodo orbitale, sembrarono, se non accertate, fortemente sospettate.

A fine anni '70 anche la Sezione Giove, come quella di Saturno, produsse rapporti annuali presentati ai Congressi UAI e pubblicati su “Astronomia” e sulla rivista dell'ALPO. Ogni anno si raccoglievano osservazioni dell'ordine del centinaio, da parte di qualche decina di collaboratori visuali, cui si aggiungeva il prezioso e regolare contributo fotografico dell'Osservatorio di San Vittore. Anche per Giove si lamentò la sproporzione fra iscritti nominali alla Sezione e osservatori realmente attivi. Si sottolineava che ogni osservatore avrebbe dovuto contribuire con più delle 5-10 osservazioni annue che di norma inviava [Astr., 2, 1977, p. 27-28].

Nel 1976 la responsabilità della Sezione passò a Favero, coadiuvato da Senigalliesi. In una lettera del 17 gennaio 1977 [Astr., 1, 1977, p. 74], Falorni annunciò l'avvicendamento, “con rammarico” per esserne stato costretto dalla “concorrenza degli impegni di lavoro e familiari”, ma “con soddisfazione” per il nome del successore, “... il quale, per qualità personali, lunga esperienza e introduzione negli ambienti astronomici, sarà certamente in grado, col concorso di noi tutti, di assicurare alla Sezione la prosperità che merita in relazione alle potenzialità esistenti.”

Per l'apparizione 1975-76 furono messe a disposizione anche fotografie ottenute al riflettore da 182 cm di Asiago. Si registrò un'intensa attività atmosferica sul pianeta (venne ricavato il periodo di rotazione di circa 100 macchie): si assistette a un “risveglio” (“Revival”) della SEB, all'eruzione del jetstream sul bordo sud della NTB e a fenomeni di colorazione ad alcune latitudini. Gli osservatori usarono tipicamente riflettori da 15-30 cm e, in minor numero, rifrattori da 8-12 cm.

Favero produsse una messa a punto della metodologia osservativa nel n. 4/1977 di Astronomia, pp. 12-19. Da un lato, egli affermò, questo tipo di osservazioni “...richiede l'uso di una grande capacità di autocritica. Infatti, anche l'osservatore esperto può rilevare a volte deficienze di rendimento”; dall'altra, tuttavia, trovò un buon accordo fra i dati di osservatori diversi e con le immagini ottenute all'Osservatorio di san Vittore.

Fornì indicazioni e suggerimenti per i disegni, le stime di intensità e colore, la nomenclatura, i transiti (per migliorare l'affidabilità di questi ultimi, suggerì di ruotare la testa durante le stime, o eventualmente ruotare l'immagine con uno specchio o un prisma, in modo da valutare la posizione dei dettagli sia con le bande del pianeta presentate in orizzontale, sia in verticale). Suggerì di eseguire stime di intensità attraverso due filtri, ad esempio rosso e blu, dal cui confronto trarre suggerimenti sui colori.

Venne ribadito l'uso della scala del seeing da 1 a 6 introdotta da Falorni, aggiungendo un gradino “zero”, definito per “immagini perfettamente calme, con particolari minutissimi osservabili in ogni momento”. Il seeing 6 corrisponderebbe a una serata inutilizzabile (“immagini agitatissime o completamente sfocate; difficile perfino definire la struttura a bande”). In alternativa, si propose di usare la definizione dei dischi dei satelliti medicei, il cui diametro va da 0.5” a 2” d'arco. Il seeing avrebbe dovuto essere valutato migliore di 0.5” quando tutti i satelliti mostrassero il loro disco perfettamente definito, anche per lunghi periodi di tempo, peggiore di 2” quando tutti i satelliti apparissero sdoppiarsi o sfocarsi; il seeing sarebbe stato 1” quando il satellite da 0.5” risultasse sdoppiato, quello da 2” si vedesse bene.

Infine, suggerì la lunghezza ottimale delle osservazioni (circa 2 ore) e la miglior frequenza delle stesse: un solo osservatore avrebbe dovuto effettuare almeno 80 osservazioni annue per coprire in modo sufficiente i fenomeni ma, lavorando in cooperazione, si poteva richiedere a ognuno di produrre 10-40 osservazioni all'anno.

Gli articoli sull'apparizione 1975-76 e la successiva 1976-77 apparvero sulla rivista [Astr., 3-4, 1978, pp. 70-95], il primo a firma di Favero e S. Ortolani, il secondo a firma Favero e Zatti. I risultati delle successive apparizioni 1977-78 e 1978-79, a suo tempo non pubblicate, appariranno molto più tardi come articoli “on line”, sull'attuale sito web della Sezione Pianeti.

Le osservazioni amatoriali e le sonde spaziali

La rivista dell'UAI venne affiancata nel 1979 da un “Notiziario”, inteso come un più agile strumento di comunicazione, soprattutto a beneficio delle Sezioni di Ricerca. Il numero inaugurale [Notiziario di Astr., suppl. al n. 4/1979] è un fascicolo monografico che presentava le Sezioni in quel momento attive. Tale presentazione venne replicata nel Notiziario di Astr., suppl. al n. 2/1982.

Una verifica dell'1 aprile 1980 [Notiziario di Astr., suppl. al n. 1/1980, pp. 18-19] dette un elenco di ben 41 soci UAI nominalmente iscritti alla Sezione Giove, 35 alla Sezione Saturno. In realtà, come detto, gli osservativi attivi erano una frazione minoritaria.

In un intervento successivo alle osservazioni delle sonde Voyager [Notiziario di Astr., suppl. al n. 4/1979, p. 6], Favero ebbe una nota poco ottimista: “Le recenti missioni spaziali e quelle previste per il 1982 (Galileo) porteranno probabilmente ad una revisione, se non addirittura ad una sospensione, del lavoro della Sezione.” Detto che la missione Galileo, come noto, giungerà su Giove solo nel 1995, si preparavano comunque stagioni meno favorevoli perché il pianeta, per alcuni anni, sarebbe sceso a declinazione negativa.

I Sassone Corsi, dal canto loro, videro maggiori prospettive. Nel 1980 proposero l'adesione al programma internazionale ISVTOP (International Saturn Voyager Telescope Observations Programme), analogo all'IJVTOP del 1979, svoltosi in concomitanza con i sorvoli di Giove [Notiziario di Astr., suppl. al n. 1/1981, pp. 10-12]: Essi sottolinearono che “...nonostante gli incredibili risultati delle missioni Pioneer e Voyager 1, le osservazioni di Saturno con metodi tradizionali vengono ritenute ancora fondamentali per mettere in evidenza tutti quei fenomeni di lunga periodicità caratteristici di variabilità stagionali nell'atmosfera. Tali fenomeni sono impossibili da rilevare mediante sonde interplanetarie perché molto lunghi nel tempo. Pensiamo che il futuro delle osservazioni planetarie da terra sia essenzialmente questo.”

Senigalliesi scriverà in seguito [Notiziario di Astr., suppl. al n. 3/1981, pp. 1-2]: “I successi delle sonde Pioneer e Voyager non hanno reso inutili le osservazioni con telescopi da terra, in quanto occorre assicurare continuità nella raccolta dei dati, cosa che le sonde non possono fare.” Citò a sostegno il parere di P. Moore apparso sul “Journal of the BAA”.

Anche Adamoli, al momento di succedere ai Sassone Corsi alla guida della Sezione Saturno [Notiziario di Astr., suppl. al n. 2/1982, pp. 4-9], ribadì le ragioni per proseguire le osservazioni da terra con strumenti anche amatoriali, citando ancora le campagne IJVTOP e ISVTOP, e ricordando che Saturno in particolare ha un periodo stagionale lunghissimo, quasi 30 anni; “...dall'età di Schiaparelli, che segna un po' l'inizio delle osservazioni planetarie sistematiche, Saturno ha fatto solo tre giri intorno al Sole. Il lavoro dunque non mancherà né a noi né, presumibilmente, alle generazioni future.”

Primi anni '80; “crisi” della Sezione Giove

A conclusione dell'apparizione di Giove 1979-80, Favero [Notiziario di Astr., suppl. al n. 3/1980, pp. 6-7] comunicò che erano state ricevute 58 osservazioni visuali da parte di 7 osservatori (quasi la metà da parte di “quell'infaticabile osservatore che è Giampaolo Gambato di Mestre”), con 551 transiti. Pensò di portare i risultati al Congresso di Siena, ma ciò non avverrà e, come vedremo, si aprì un periodo in cui l'attività della Sezione non fu più adeguatamente documentata.

All'Assemblea dei Soci del Congresso UAI di Siena (settembre 1980) Favero chiese di venir sostituito come responsabile della Sezione Giove; il coordinamento passò a Senigalliesi [Notiziario di Astr., suppl. al n. 4/1980, p. 10]. Del rapporto osservativo 1979-80 ad oggi non rimane traccia.

Senigalliesi scrisse un suo primo intervento da coordinatore [Notiziario di Astr., suppl. al n. 3/1981, pp. 1-2]. Informò che per il 1980-81 erano pervenute 53 osservazioni di 9 osservatori; contributo non eccezionale, qualità mediamente buona, ma distribuzione non uniforme in longitudine e nel tempo, che produceva difficoltà nell'individuazione dei dettagli. Sperava nell'arrivo di fotografie da San Vittore.

Essendo necessario raccogliere dati più completi e precisi, in particolare per il lungo periodo all'inizio di ogni apparizione, egli spronò a osservare in tali periodi per un paio d'ore prima dell'alba, suggerendo di organizzarsi, con ciascun osservatore che si sarebbe dovuto impegnare a coprire, almeno una volta al mese, tutti i 360° di longitudine in un intervallo massimo di una settimana. “Ognuno, prima del periodo in cui dovrà osservare, riceverà le copie dei planisferi ottenuti dagli altri durante il proprio periodo di riposo, in modo da rendersi conto della evoluzione dei fenomeni e tenere sotto controllo i più interessanti, senza il bisogno di 'riscoprirli'”. Venne suggerito anche l'uso di un semplice micrometro filare per materializzare il Meridiano Centrale e quindi migliorare la precisione dei transiti.

Infine, annunciò che si stava provvedendo a una informatizzazione della riduzione dei transiti, tramite un codice leggibile da computer, per costruire una banca dati interrogabile che andasse indietro nel tempo fino alle prime osservazioni GOPI. Erano gli anni in cui si andavano diffondendo i primi semplici calcolatori programmabili da tavolo, antenati degli odierni PC. Questo sforzo di informatizzazione non avrebbe però avuto esito pratico.

In seguito, Senigalliesi informò della difficoltà di osservare Giove nell'apparizione 1981-82 [Notiziario di Astr., suppl. al n. 1/1982 di Astronomia, p. 1]. “Benché si sia tentata più volte l'osservazione alla fine di ottobre '81, solo il 30 gennaio è stato percepito il primo dettaglio. Fino ad ora infatti anche se, soprattutto lo scorso anno, nottate serene non sono mancate, il seeing è stato sempre pessimo, tanto da impedire, a volte, addirittura la visione delle due bande equatoriali.” Nessuna meraviglia, dunque, che nella prima parte dell'apparizione non fossero state ricevute altre osservazioni.

In un successivo “interim report” di quella apparizione [Notiziario di Astr., suppl. al n. 2/1983, pp. 3-6], Senigalliesi annunciò infine il ricevimento di 127 osservazioni, prodotte da 18 osservatori nel periodo novembre '81 - luglio '82, con 1370 transiti. Seguiva uno smilzo rapporto, corredato da alcuni planisferi parziali o totali, distinti per decadi, da novembre a luglio. Un'analisi completa di quell'apparizione non vedrà mai la luce.

Senigalliesi pubblicò altre istruzioni per l'osservazione [Notiz. di Astr., suppl. al n. 4/1983, pp. 21-26]: suggerimenti sulla nomenclatura del pianeta; coefficienti per polinomi di 12° ordine che producevano le longitudini nei Sistemi 1 e 2 per il 1984, da usare con piccole calcolatrici tascabili; presentazione di un modulo per riportare disegni “strip-sketch” a mo' di planisfero, per osservazioni prolungate (fino a 3h 20m), completo di spazio per riportare i transiti in modo codificato.

Una nota successiva riferì di una difficile campagna 1982-83 in atto, causa bassa declinazione e maltempo, con sole 17 osservazioni (fino allora) ricevute, da 4 osservatori. Si annunciò che P. Camaiti era stato nominato co-responsabile, per meglio sbrigare la corrispondenza interna.

In seguito, Senigalliesi relazionò all'Assemblea dei soci UAI del Congresso di Bologna (1 settembre 1984). Avvertì che per motivi di tempo stava passando le consegne a Camaiti. Il numero di osservazioni era comunque molto calato, per la scarsa altezza di Giove, ed era venuto a mancare l'apporto delle foto di San Vittore.

Camaiti in una nota successiva [Astr., 2, 1986, p. 8-12] scrisse dell'apparizione 1984, che ribadì grandemente ostacolata dalla bassa declinazione del pianeta, e riferì della raccolta di dati da parte di soli 6 osservatori.

Senigalliesi morì nel settembre 1986, a soli 47 anni; Falorni ne fece un toccante necrologio su Astronomia [Astr., 3, 1986, pp. 3-4].

In seguito a questi episodi, e alla poca disponibilità dimostrata anche da Camaiti, il CD UAI si indusse ad affidare temporaneamente la conduzione della Sezione a Adamoli, in attesa di farla confluire in una comprensiva Sezione Pianeti, che ormai si andava prefigurando, come vedremo, sotto la spinta e la guida di Falorni.

La Sezione Saturno nei primi anni '80

Nel 1979 Paolo Sassone Corsi comunicò con rammarico di dover lasciare l'attività in seno all'UAI, in quanto si trasferiva all'estero per motivi di studio [Astr., n. 4, 1979, p. 31).

Il fratello Emilio [Notiziario di Astr., suppl. al n. 1/1981, pp. 10-12] lamentò che gli osservatori non avevano risposto adeguatamente alle attese per la presentazione di Saturno con gli anelli di taglio: pur comprendendo nel novero i lavori sistematici di Adamoli e R. Monella, si erano raccolte poche osservazioni italiane (in tutto 70), integrate da 51 contributi stranieri (Dragesco, Heath, Jetzer, Lavega e altri spagnoli).

Inoltre, entrambi i fratelli Sassone Corsi lavoravano ormai stabilmente fuori sede e avevano pochissimo tempo da dedicare all'astronomia, per cui si rendeva necessario provvedere a un avvicendamento. Con lettera dell'1 novembre 1980, essi dichiararono ufficialmente al CD UAI la loro indisponibilità, indicando come loro possibile successore Adamoli il quale, all'inizio del 1981, accettò di subentrare.

Si era nell'intervallo fra l'apparizione 1980-81, di cui si invitarono gli osservatori che non l'avessero ancora fatto a spedire le osservazioni, e la successiva, in cui si invitava tutti a riprendere al più presto, anche con sessioni mattutine, non dimenticando le stime sistematiche di intensità e la sorveglianza per eventuali macchie. Vennero messi a disposizione moduli rinnovati per riportare le osservazioni, con la sagoma del pianeta e degli anelli (A e B, più la divisione di Cassini), con la corretta orientazione per l'inclinazione del polo verso la Terra. I moduli erano stati disegnati dal fratello di Adamoli, Paolo.

Adamoli richiese di proseguire gli studi sistematici: stime di intensità e colore, misure di latitudine delle bande, massima attenzione a macchie transitorie. Mantenne i contatti con la BAA e l'ALPO, che continuò a pubblicare i risultati italiani su “The Strolling Astronomer”. In una nota [Notiziario di Astr., suppl. al n. 3/1982, pp. 1-4] discusse della soggettività della scala di intensità, introducendo una critica sul valore 10 (da interpretare come fondo cielo reale, con le eventuali luci d'ambiente, o fondo cielo “ideale”, legato al ricordo di un cielo totalmente buio? Anche sul valore 1, assegnato come standard dalla BAA alla parte esterna dell'Anello B, ci sarebbe stato da ridire, visto che questo anello presenta una sia pur piccola variazione, soprattutto con gli anelli molto chiusi; era forse meglio usare lo standard 0 = bianco brillante, ad esempio con riferimento alle calotte polari marziane).

Venne promossa una rete di allerta telefonica per eventuali fenomeni eccezionali e un questionario fra i membri della Sezione per una migliore conoscenza delle risorse ed esigenze (strumentazione, tipologia del sito osservativo, conoscenze scientifiche degli osservatori...).

In [Astr., 1, 1985, pp. 6-8] venne riproposto di confrontare la luminosità di Titano visualmente con filtri blu e rosso.

Adamoli partecipò al VI Congresso dell'International Union of Amateur Astronomers, a Bologna nel settembre 1984, tenendo una relazione che sottolineava la continuità delle osservazioni italiane di Saturno dal 1972, la collaborazione con altri osservatori europei, metodologia e risultati [Proceedings of the 6th General assembly of the IUAA, suppl. al n. 2/1985 di Astronomia, pp. 41-44].

Nel rapporto 1983 [Astr., 2, 1985, pp. 6-10] si riportarono misure fotodensitometriche lungo il CM in tre colori di A. S. Lavega e J. A. Quesada col riflettore da 123 cm di Calar Alto (Spagna), e un confronto con le stime di intensità e latitudine visuali attraverso piccoli telescopi.

Dibattiti e polemiche a livello UAI negli anni ‘80

Non tutte le Sezioni di Ricerca UAI sono state sempre attive. Al contrario, la vita dell'UAI è scandita da persistenti critiche verso molte Sezioni che, a turno, vengono segnalate come quasi o del tutto inattive. I loro responsabili fronteggiano i problemi più vari, legati al carattere hobbystico dell'attività, che deve fare i conti con impegni familiari e di lavoro; a volte, un'iniziativa incontra scarsa risposta dagli altri soci. Non è raro il caso di Sezioni che si sono viste scavalcate da iniziative di singoli o di altri gruppi, entro o fuori dall'UAI, i quali hanno prodotto risultati scientifici del più alto livello, mentre la Sezione di Ricerca cui avrebbero potuto fare riferimento languiva. In questi “individualismi” si può forse ravvisare un connotato dell'indole nazionale...

Va detto che le Sezioni di Ricerca planetarie, pur attraversando crisi anche profonde, sono state un po' meno toccate da queste polemiche, qualcuna a volte è stata additata come modello di efficienza e produzione scientifica.

Si è parlato a lungo, e si continua a parlare, di migliorare l'attività delle Sezioni rivedendo i loro statuti, le modalità organizzative, i loro contatti esterni. Nei primi anni '80, ad esempio, il CD UAI si adoperò di mettere in contatto le Sezioni con la SAIt; dopo lungo lavorio diplomatico, in [Astr., 4, 1983, p. 1-2] fu annunciato che il Presidente della SAIt, con lettera del 21 settembre. 1983, accettava l'idea di istituire un “tutoraggio” di ciascuna Sezione con l'affiancamento di un astronomo professionista, e si indicarono i nomi di emeriti scienziati che si prestavano al ruolo. Le Sezioni Giove e Saturno, in particolare, vennero affidate alla sovrintendenza del prof. M. Fulchignoni.

Adamoli si mise in contatto con tale astronomo, ma la corrispondenza che ne seguì, pur cordiale e piena di volontà di collaborazione, si rivelò alla lunga piuttosto sterile, e non ne sortì un legame duraturo, forse a causa delle diversità di prospettiva metodologica nell'approccio allo studio planetario fra astrofili e professionisti, differenze di cui è difficile dare la colpa agli uni o agli altri. Non ebbe sorte migliore il rapporto fra il prof. Fulchignoni e la Sezione Giove, che in quel momento stava attraversando, come detto, una sensibile crisi.

Si pensò di disciplinare l'attività delle Sezioni per mezzo di un Regolamento che ne fissasse scopi, modalità di lavoro, organici, diritti e doveri. Al Congresso di Roma (settembre 1983), il Responsabile Scientifico del CD, Bianciardi, parlò delle prossima presentazione di un “Regolamento delle Sezioni di Ricerca”. Alla fine, nel 1985 gli stessi Responsabili di Sezione approvarono infine una proposta di Regolamento, in una versione scarna ed essenziale. Essa venne approvata dall'Assemblea dei soci al Congresso di Grosseto (settembre 1986).

Infervorati dibattiti non hanno investito solo le Sezioni, ma il ruolo dell'UAI nel suo complesso, della sua rivista. Le informazioni erano veicolate meglio dalla rivista, da un notiziario a parte (che vide la luce fra il 1979 e il 1985) o piuttosto attraverso circolari riservate ai soli aderenti ai vari programmi di ricerca? Restava sullo sfondo il divario, più volte ricordato, fra il numero di aderenti nominali alle Sezioni e gli osservatori realmente attivi.

Sorse anche un accanito dibattito sul problema del referaggio degli articoli da pubblicare, onde garantirne la necessaria attendibilità scientifica.

La “Sezione Pianeti”

Il n. 2/1985 di Astronomia, pp. 42-45, ospitò un significativo scambio epistolare fra Falorni e l'allora Presidente UAI, F. Cerchio. Da alcuni anni Falorni era fuori da ruoli istituzionali: “...per motivi di carattere personale, ho dovuto e voluto sospendere ogni partecipazione attiva alle cose dell'astronomia non professionale”. Nella sua lettera, datata 5 dicembre 1984, Falorni teorizzò che “...la funzione principale dell'UAI dovrebbe essere quella di favorire lo sviluppo di un'astrofilia di 'base', cosa che, a mio avviso, non sempre è stata fatta”. Il risultato è “la disaffezione – in qualche caso l'emarginazione – degli astrofili meno fortunati in termini di tempo disponibile, mezzi e, magari, intraprendenza.” E' questa “...una delle prime cause dello scarso numero di osservatori attivi. E il problema è giusto questo: in Italia si osserva poco.”

Più avanti: “Non vorrei essere frainteso circa l'espressione 'astrofilia di base' che, a mio parere, non significa affatto livellamento verso il basso... Per 'astrofilia di base' intendo dunque tutta quella serie di attività di osservazione e controllo che può farsi con strumentazione semplice – a volte anche rudimentale – purché con metodo rigoroso. A questo proposito le osservazioni visuali svolgono una funzione primaria e trainante in ogni parte del mondo.”

Questa impostazione diverrà in futuro la linea conduttrice della Sezione Pianeti.

“Per fare un esempio tratto da un settore dove ho avuto occasione di maturare una certa esperienza, posso affermare, senza tema di essere smentito che, per diventare un “experienced observer” (che vuol dire affidabile, cioè produttore di dati utilizzabili scientificamente) nel campo delle osservazioni planetarie, è necessario almeno un biennio di training attivo (al telescopio) e passivo (in biblioteca).”

“... Le osservazioni sofisticate sono una grande impresa intellettuale e motivo di profonde soddisfazioni ma ricordiamoci che, soprattutto, esse sono la naturale evoluzione di un più umile quanto serio lavoro che per una serie di fortunate circostanze evolve a livelli professionali quanto a ricaduta scientifica.”

Cerchio rispose consentendo che le Sezioni devono aiutare l'informazione e l'attività di base, ma “...la tua preoccupazione è che si venga a privilegiare una 'astrofilia di punta'; ma quello che era di punta pochi anni fa può oggi può non più esserlo.”

Questo dibattito, fra le altre cose, fu rivelatore dell'esigenza, sentita da Falorni e da altri, di un rilancio dell'osservazione planetaria, di cui presto lo stesso Falorni si propose come alfiere, attraverso l'accorpamento della Sezioni Giove e Saturno in un'unica “Sezione Pianeti”, che convogliasse in un'unica direzione gli sforzi organizzativi minimizzando la burocrazia, e prevedendo l'allargamento delle ricerca agli altri pianeti, in primis Marte, in prospettiva Venere e Mercurio.

Non era un'idea nuova in assoluto. R. McKim, Direttore della Mars Section della BAA, già nel 1982 scrisse a Adamoli, avanzando una proposta di osservare Marte dall'Italia, con strumenti anche molto modesti. McKim sottolineava che, anche dopo l'atterraggio dei Viking, l'osservazione visuale del pianeta risultava ancora estremamente importante. Adamoli ne interessò Bianciardi (Coordinatore UAI delle Attività Scientifiche) che, nel Notiziario di Astr., suppl. al n. 2/1983, lanciò un questionario ai soci per conoscere l'interesse a una Sezione Marte UAI. Questa iniziativa cadde nel nulla, ma l'interesse per il pianeta rosso in Italia si stava comunque risvegliando, anche perché le apparizioni del pianeta in quegli anni si andavano facendo sempre più favorevoli.

Il vice-Presidente UAI E. Filippone (f.f. di Presidente, dopo l'improvvisa morte di P. Andrenelli), al Congresso di Jesi (settembre 1987), nella sua Relazione Morale [Astr., 2, 1987, pp. 18-21], spinse a sua volta per l'accorpamento di alcune Sezioni, per diminuire il carico organizzativo e consentire una migliore distribuzione dei fondi disponibili. Il successivo Presidente Favero, in un articolo-manifesto programmatico “Per un vero nuovo corso” [Astr., 3-4, 1987, pp. 6-11] ribadì l'opportunità delle aggregazioni, e si prefisse la creazione di un Programma Marte, visto l'interesse su questo soggetto, che si stava avvicinando alla grande opposizione del 1988; ne prospettò anzi la creazione all'interno di una Sezione Pianeti unitaria. Falorni, nello stesso Congresso, fu autore di una relazione sull’insorgere delle tempeste di polvere nel bacino di Hellas.

Falorni divenne di fatto l'organizzatore del progetto “Sezione Pianeti”, anche prima delle sua definizione ufficiale, lavorando in accordo con il CD e il Responsabile per le Attività Scientifiche Bianciardi. Favero annunciò la costituzione della Sezione Pianeti, diretta da Falorni, nel CD del 22 maggio 1988 (Padova) [Astr., 4, 1989, pp. 4-5]. Falorni stesso spedì l'8 agosto 1988 una “Circolare della Sezione Pianeti” a una ventina di osservatori attivi e persone che si ritenevano interessate. In quella sede venne ipotizzata la coordinazione ad interim di Giove da parte di Adamoli e la futura costituzione di un programma Venere, sotto la guida di D. Sarocchi. Per Marte, che il Direttore stesso prendeva sotto la sua cura, si informò della ricezione a quella data di una ventina di osservazioni, relative all'inizio della “grande opposizione” del pianeta.

Falorni pensava per la nuova Sezione una struttura interna agile e poco burocratizzata, dotata di un Direttore (“impulso, coordinamento, decisionalità”), Responsabili per i quattro principali pianeti (Venere, Marte, Giove, Saturno), un Segretario (“organizzazione, flusso della corrispondenza, adempimenti”), un responsabile per la Stampa (“circolari, rubriche”). Nei primi tempi evidentemente taluni incarichi sarebbero andati a cumularsi nelle stesse persone, in attesa di una nuova generazione di ricercatori in grado di ricoprire i ruoli.

La Sezione Pianeti UAI nacque ufficialmente nel 1988, in una riunione costitutiva tenuta il 9 settembre 1988 nell'ambito del Congresso UAI di Venezia. Vi parteciparono 19 persone, con verbale a firma del neo-Direttore Falorni. Nel documento, la Sezione si proponeva “il controllo sistematico delle superfici dei quattro maggiori pianeti e, in particolare, dei fenomeni atmosferici, per poterne studiare la meteorologia e i fenomeni ad essa collegati. (...) La Sezione risulterà investita di un duplice compito: uno generale, come punto di riferimento culturale per tutti i soci (e non solo), l'altro, più specifico, come ente di produzione scientifica.” Nella stessa occasione, si tenne una riunione per fare il punto sulle osservazioni di Marte in corso e per lanciarne il coordinamento. Si sottolineò l’importanza della collaborazione con gli osservatori professionali, dove telescopi adatti all’osservazione planetaria giacciono talvolta inutilizzati. Si citò ad esempio il rifrattore Amici di Arcetri, e il semi-apocromatico Morais di Pino Torinese, utilizzati da Falorni e Tanga rispettivamente. L’intenzione di Falorni era di permettere e incentivare, tramite la Sezione Pianeti, l’accesso degli osservatori più esperti a strutture analoghe.

Il n. 7/1988 di Astronomia riportò un inserto di presentazione delle Sezioni di Ricerca. La nuova Sezione Pianeti è descritta alle pp. 4-5. Si considerava che, allo stato, dopo le ricognizioni delle sonde, l'osservazione da Terra restasse utile per seguire i fenomeni meteorologici di Venere, Marte, Giove e Saturno e aspetti connessi (come le variazioni delle calotte polari di Marte). Servivano aperture minime di 8-10 cm, focali lunghe, piccole ostruzioni se i telescopi erano a specchio; disegni, stime di intensità, transiti. Anche misure di latitudine. Infatti, anche se poteva sembrare che il miglior approccio all'osservazione planetaria fosse la fotografia, che registra in maniera impersonale forma, posizione, riflettività dei dettagli, essa “soffre di limitazioni tali per cui non è possibile, neppure nei casi ideali, registrare tutto ciò che l'occhio scorge con facilità nelle medesime condizioni.” Provvisoriamente, erano indicati come responsabili di Venere e Marte Falorni, di Giove e Saturno Adamoli.

Nello stesso numero della rivista, Falorni fu autore (pp. 28-30) di una messa a punto delle prospettive di osservazione dei pianeti con piccoli telescopi. Premise che la Sezione non intendeva inserire nei propri futuri rapporti osservazioni eseguite con rifrattori di apertura inferiore a 10 cm, riflettori di apertura inferiore a 15 cm (solo per Venere si sarebbe potuto abbassare il limite dei primi a 7.5 cm). Vennero infatti mostrati una serie di disegni eseguiti su Marte in occasione della grande opposizione, con vari telescopi, dove si dimostrava che con telescopi inferiori agli standard richiesti (in particolare, gli allori diffusissimi riflettori 114/900), solo a partire dai 15 cm di apertura la struttura base delle macchie d'albedo si stabilizzava. Ad aperture maggiori l'immagine si arricchiva di particolari fini, ma la struttura rimaneva invariata, ed era quella confermata dalle migliori fotografie. “Tornando al 114, colpisce il fatto che, in termini di affidabilità, i tre centimetri di apertura che lo separano dal 150 sono più decisivi dei 21 o 27 che separano quest'ultimo dai telescopi maggiori.” Evidentemente, al di là del potere risolutivo, si rivelava un effetto di soglia, al di sotto della quale la carenza di luminosità determinava una caduta decisiva del contrasto.

D'altro canto, non si volevano mortificare le osservazioni compiute con aperture molto piccole, che avevano comunque un importante ruolo di addestramento, che andava “apprezzato, incoraggiato e assistito”. In ogni caso, Falorni rilevò discrepanze a livello di dettaglio minuto anche fra rifrattori superiori ai 30 cm, dovute probabilmente al fatto che era difficile osservare con la stessa attenzione tutta la superficie del pianeta, anche a causa dei capricci del seeing.

Sul piano organizzativo e didattico, la Sezione rifece la modulistica, con un notevole lavoro di design e produzione di moduli su pellicola, da cui si trassero fotocopie di ottima qualità, che verranno chieste e utilizzate anche da associazioni estere. Più tardi, la Sezione mise a disposizione fogli di gelatina Wratten Kodak con cui produrre filtri colorati standard.

Il lavoro interno al “Consiglio Scientifico” della Sezione venne ridistribuito con l'innesto di nuovi collaboratori: P. Tanga subentrò come coordinatore di Saturno, permettendo a Adamoli di occuparsi esclusivamente di Giove. D. Sarocchi, coadiuvato da G. Quarra, rimase responsabile delle osservazioni di Venere [Astr., 4, 1989, pp. 42-44].

Si cercò di coinvolgere nuovi soci e di formarne validi osservatori. Il 1° luglio 1990 si tenne una prima riunione ufficiale della Sezione presso l'Osservatorio Ximeniano di Firenze. In questa occasione Tanga presentò un opuscolo da lui redatto sull’osservazione di Giove, che conteneva in embrione l’approccio che sarà poi utilizzato più tardi per il “manuale” di Sezione. Venne organizzato un primo “Seminario didattico sull'osservazione planetaria”, che si valse di una dispensa curata da Falorni. Aderenti alla Sezione e Consiglio Scientifico si riunirono spesso in quegli anni , soprattutto a Parma, sede comodamente raggiungibile da quasi tutti i collaboratori, dove si tenne una lunga serie di incontri, aperti a tutti gli interessati, e caratterizzate da un clima rilassato e amichevole.

La Sezione istituì il Premio “P. Senigalliesi”, da attribuire alla migliore osservazione planetaria ricevuta nell'anno precedente, con riguardo non solo al valore assoluto dell'osservazione, ma anche all'esperienza e allo strumento usato dall'autore. Il 1° Premio “Senigalliesi” venne attribuito durante il Congresso UAI di Bologna del settembre 1991 a M. Dal Santo, per il rilevante contributo dato alla Sezione, e in particolare per un'osservazione di Marte del 2 novembre 1989, che riportava la prima osservazione di una tempesta di polvere avvenuta sul pianeta.

Il 2° Premio “Senigalliesi andò nel 1992 a G. Marabini, per la sua padronanza nell'osservare e riportare i risultati, e per il gran numero di eccellenti contributi osservativi che tale osservatore produsse in quegli anni.

Una nota su Astronomia, n. 3/1991, p. 27, annunciò che, con l'incremento degli osservatori e per complessità di gestione, veniva istituita una Segreteria della Sezione, affidata a L. Testa.

Un 2° Seminario didattico sull'osservazione planetaria venne organizzato nel novembre 1991, presso l'Osservatorio di Mosciano S. Angelo (Teramo), con la partecipazione di una trentina di persone, cui vennero proposte conferenze ed esercitazioni pratiche (esecuzione di disegni e cronometraggio di transiti su immagini riprese con telecamera CCD e mostrate su un televisore; simulazione della stima di fase di Venere tramite confronto con sagome prestampate). Si ragionò delle possibilità aperte dalla diffusione dei sensori CCD, che però al momento costavano ancora cari (attorno agli 8 milioni di lire). Si sottolineò inoltre che l'esperienza dell'osservatore, e la familiarità con l'immagine osservata al telescopio, risultavano ancora indispensabili per interpretare correttamente un'immagine CCD.

Non vennero trascurate le relazioni con il mondo internazionale. La Sezione partecipò al Primo Meeting Europeo di Osservatori Planetari e Cometari (MEPCO), tenuto a Violau (Baviera) nel settembre 1992 [Astr., 8, 1992, pp.22-23]. Esso vide la presenza di una cinquantina di osservatori di vari Paesi. La delegazione italiana di 7 persone, guidata da Falorni, presentò relazioni sull'uso del CCD, la regressione della calotta polare di Marte nel 1988 e della macchia di Wilber apparsa su Saturno nel 1990. Si scambiarono informazioni e materiale, in particolare i presenti furono impressionati dal rigore metodologico della nostra Sezione e chiesero di poter copiare o adattare i nostri moduli osservativi, anche per andare verso uno standard europeo. Si ebbe il primo contatto con H.-J. Mettig e gli osservatori tedeschi di Giove, che stavano sviluppando l'ambizioso progetto della creazione di un database informatico in grado di raccogliere tutte le osservazioni posizionali passate, presenti e future delle macchie di Giove (programma JUPOS). Altre partecipazioni al MEPCO, con una rappresentanza più ridotta, seguirono in un paio di edizioni successive.

Nel luglio 1994 venne organizzato il 1° campo osservativo estivo della Sezione al rifugio Balma (Pratonevoso, CN) [Astr., 6, 1994, p. 42].

La realizzazione forse più significativa della Sezione in questi anni, un po' il testamento della vigorosa gestione Falorni, può essere considerato il Manuale di Sezione, uscito nel 1994. Su proposta iniziale di Tanga, esso incontrò in prima battuta una certa preoccupazione da parte dei coordinatori e dello stesso Falorni, a causa dell’impegno richiesto che avrebbe assorbito energie ai compiti ordinari. Tuttavia, si decise che uno sforzo collaborativo avrebbe potuto avere successo. Per la stesura dei capitoli sulla fotografia e sulle riprese CCD si coinvolsero A. Bernasconi, G. Quarra e A. Leo, che diedero la loro adesione al progetto. Dal punto di vista editoriale, si coinvolse l’editore de “L'Astronomia” tramite il direttore responsabile C. Lamberti. Ci si accordò per distribuire il manuale in edicola in un numero della rivista a prezzo maggiorato. Il manuale, un ricco fascicolo (144 pagine) che copre tutti gli aspetti didattici e metodologici, si intitola “Osservare i pianeti”, e fu il primo volume dei “Quaderni di l’Astronomia”. In cambio, l’editore si impegnò a fornire alla Sezione le rimanenze della stampa (circa 3000 copie) a titolo gratuito. La UAI beneficiò quindi, nell’occasione, di un’operazione vantaggiosa.

Un'altra iniziativa di quegli anni fu la produzione di una biblioteca, a cura di L. Testa, contenente la riproduzione di vari articoli sui pianeti apparsi nella letteratura scientifica, le cui fotocopie vennero messe a disposizione al solo prezzo di riproduzione e spedizione a chi ne faceva richiesta.

Falorni costituì attorno a sé un gruppo attivo, efficiente e motivato. Tuttavia non era persona da cullarsi sugli allori, la sua lucidità e onestà intellettuale lo portarono a vedere sia le luci sia le ombre di quanto si veniva realizzando. In una nota su Astronomia, 2/1994, p. 4, ammise: “...i quattro maggiori pianeti sono stati seguiti in maniera soddisfacente, con centinaia di osservazioni visuali in ogni apparizione.” Però “...se i numeri sono confortanti, la qualità non è sempre all'altezza, soprattutto a causa del fisiologico ricambio degli osservatori. Tuttavia il materiale raccolto rimane ampiamente sufficiente per la produzione di rapporti di buon livello.”

L'osservazione di Marte

Nel 1988 Falorni suggerì le metodologie per seguire la grande opposizione di Marte di quell'anno [Astr., 4, 1988, pp. 7-10]. Ricordò che le dimensioni del disco comunque ridotte e l'elevata brillanza superficiale fanno sì che le prime osservazioni di questo pianeta, anche per un osservatore esperto, siano spesso scoraggianti. Ma, con calma e pazienza, l'adattamento arriva, e le delicate macchie di Marte cominciano a venire fuori.

In seguito, “...è perfettamente inutile mettersi a rincorrere macchiette e canaletti: è tempo perso”. La base dell'osservazione moderna consisteva nella registrazione accurata della calotta polare e nella sorveglianza di eventi meteorologici (nubi, nebbie, tempeste di polvere) e, legate a queste, le variazioni stagionali e secolari delle macchie di albedo. A tal fine, era opportuno l'uso di filtri colorati, per selezionare livelli diversi dell'atmosfera (violetto, blu, verde, giallo e rosso). Sarebbe stato importante, nell'apparizione imminente, studiare le regressione della calotta polare sud, con la formazione al suo interno di fratture e parti distaccate.

Falorni divenne Coordinatore per l'Italia di “Marswatch '88”, rete internazionale per l'osservazione degli eventi transienti marziani, promossa dalla Planetary Society di C. Sagan, con il coordinamento generale di S. Edberg, che si appoggiava all'International Mars Patrol, creato a suo tempo da C. Capen e gestito dall'ALPO [Astr., 5, 1988, p. 12]. La rete permetteva di coprire al meglio nel tempo le varie longitudini di Marte poiché, per il periodo di rotazione simile a quello terrestre, una determinata regione marziana può restare nascosta al singolo osservatore per molti giorni.

L'anno dopo, Falorni [Astr., 4, 1989, pp. 42-44] riferì della ricezione di ben 614 osservazioni di Marte nella grande opposizione da parte di 34 osservatori, con l'uso prestigioso dei rifrattori di Arcetri e Pino Torinese, e importanti contributi stranieri, visuali (D. Crussaire, S. Ebisawa, R. McKim) e fotografici (I. Miyazaki). Lo stesso Falorni ebbe accesso, grazie ai contatti col celebre astronomo francese A. Dollfus, al rifrattore di Meudon nei giorni intorno all’opposizione marziana del 1988 e produsse alcune osservazioni di grande dettaglio e pregevole fattura.

L'impiego senza risparmio di energie alla Direzione della Sezione ebbe per Falorni un risvolto negativo: nell'analisi dei risultati di Marte si andò accumulando un notevole ritardo. Egli cercò un assistente all'altezza; nei primi anni '90 sembrò trovarlo nella persona del giovane R. Cerreta, ma successivamente la scelta non si rivelò felice. Nel 1994 il cumulo dell'arretrato impose di investire Tanga della responsabilità di Marte, promuovendo il Segretario Testa a capo del programma di Saturno.

Nel 1995 uscì infine un primo rapporto su Marte, apparizione 1992-93, a cura di Tanga [Astr., 6, 1995, pp. 3-12]. Successivamente apparirà anche un rapporto 1994-95 e postumo, come vedremo, un lavoro di Falorni sulla regressione della calotta polare sud nella grande apparizione del 1988.

A coronamento di un decennio di osservazioni, Astronomia presentò infine una pregevole Mappa di Marte basata sulle osservazioni UAI 1988-99, a cura di M. Frassati e Tanga [Astr., n. 4, 2001, pp. 21-27].

Ripresa delle osservazioni di Giove

Nel n. 5/1988 di Astronomia, p. 32, Adamoli rese noto di essere stato nominato Responsabile ad interim della Sezione Giove, e chiese di spedire eventuali osservazioni arretrate rimaste nel cassetto.

Adamoli cercò di rilanciare il programma Giove, attraverso la presentazione di nuovi moduli osservativi e un articolo sulla recente fenomenologia del pianeta, che ne sottolineava gli aspetti sempre nuovi [Astr., 5-6, 1989, pp. 25-30]. Non fu possibile recuperare gran parte delle osservazioni dei primi anni '80, mentre si trovò sufficiente materiale per pubblicare un compiuto rapporto dell'apparizione 1985. Dati sparsi delle successive due furono accorpati in un articolo successivo. Le osservazioni tornarono numerose nel 1988-89, apparizione che vide il rilancio definitivo del programma Giove.

Nel rapporto 1989-90, per la prima volta si ebbero a disposizione 8 riprese video effettuate con telecamera CCD, prodotte dal gruppo di Firenze (A. Leo, G. Quarra, D. Sarocchi) con il 30 cm Casségrain dell'Osservatorio di San Gersolé. Questi stessi autori produssero una serie di articoli su Astronomia che illustrarono le potenzialità delle nuove tecniche [Astr., 10, 1991, pp. 11-15] [Astr., 1-2, 1992, pp. 9-16].

Nella misura delle latitudini, le misure effettuate sui disegni apparivano all'epoca ancora competitive con la fotografia, CCD o tradizionale, e l'accordo fra i due metodi appariva discreto (entro i 3°); si avevano scostamenti più significativi in vicinanza del bordo (d'altronde, con le foto c'era un notevole problema di oscuramento del bordo stesso).

Gli anni successivi videro la partecipazione al programma Giove di un numero crescente di osservatori, molte decine, che produssero centinaia di osservazioni per ciascuna apparizione degli anni '90. Nel 1993 Adamoli propose l'adesione all'International Jupiter Watch, che lanciò una campagna intensiva di osservazione a professionisti e amatori per il marzo-aprile di quell'anno. Sempre nel 1993, in una nota interna della Sezione [Bollettino n. 3, 1993] si delineò la volontà di collaborare con gli osservatori tedeschi nella raccolta e aggiornamento del database JUPOS, di cui si è parlato.

Nel luglio 1994 la caduta dei frammenti della cometa Shoemaker-Levy 9 su Giove produsse temporanee gigantesce “cicatrici” scure alla latitudine della SSTZ; apparve un rapporto preliminare di Adamoli in cui, accanto alle osservazioni visuali, rivestivano ormai un ruolo importante le fotografie CCD di vari autori: Quarra, Testa, G. Farroni di Saint-Avertin (Francia) [Astr., n. 5, 1994, pp. 7-11]; gli impatti produssero anche segnali radio [G. Bressan, Astr., 5, 1994, pp. 12-14]. Un rapporto completo di Adamoli sulle osservazioni visuali e fotografiche del 1994 apparve nel n. 1/1996 di Astronomia, pp. 22-29.

Programma Venere

Una proposta di osservazione di Venere apparve sulla rivista a firma di Sarocchi [Astr., 4, 1989, pp. 28-37]. Egli presentò la fenomenologia astronomica e fisica del pianeta, ovvero della sua atmosfera. Cosa e come osservare? Possibilmente di giorno: oltre la fase, tenui chiaroscuri, da evidenziare con filtri opportuni. Si poteva sorvegliare la forma del terminatore e delle cuspidi, eventuali calotte luminose e loro collari scuri, la nota anomalia di fase, la luce cinerea.

Sarocchi e Quarra pubblicarono una nota osservativa sull'elongazione est (serale) di Venere del 1989, mostrando disegni e una fotografia ottenuti da essi stessi e collaboratori dell'Osservatorio di San Gersolé [Astr., n. 1, 1990, p. 40].

Apparve in seguito un primo rapporto sistematico su un'elongazione di Venere, quella est del 1988 (con alcune note sulla successiva elongazione ovest). Si trattava di osservazioni antecedenti l'avvio ufficiale del “programma Venere” [Astr., n. 3, 1990, pp. 21-27]. Vi si parla dell'effetto Schroeter, dell'aspetto generale del pianeta e delle cuspidi, dell'osservazione di alcune irregolarità e di una macchia osservata nell'emisfero oscuro.

Sul n. 2/1991 di Astronomia, p. 40, i responsabili di Venere pubblicarono dei profili per la stima della fase, da usare per confronto diretto con l'immagine telescopica. Una loro prima realizzazione (profili con fase dal 40% al 60%) risaliva al 1984; ora, gli stessi autori presentavano una serie completa di tutte le fasi, prodotta al computer. Questo “metodo del confronto”, a fronte del vecchio sistema di misura sui disegni, consentiva a un osservatore esperto una valutazione più esatta, entro pochissimi punti percentuali.

A seguire, Sarocchi e Quarra pubblicarono un ulteriore rapporto sistematico sulle elongazioni est 1989 e ovest 1990 [Astr., 3, 1992, pp. 15-22], con misure dell'anomalia di fase e registrazione di dettagli del manto nuvoloso. La mole di osservazioni permise una descrizione dei fenomeni mese per mese. Seguirono altri rapporti, più o meno regolari, a copertura delle apparizioni successive.

Osservazioni di Saturno, anni '90

Tanga, da poco subentrato nel coordinamento delle osservazioni di Saturno, produsse un articolo [Astr., 2, 1990, pp. 25-27] in cui invitava a proseguire nello studio del pianeta. Egli ribadì che quest'ultimo, spesso considerato privo di cambiamenti, in realtà li disvela all'osservatore che lo segue con pazienza negli anni: serviva dunque continuare la sorveglianza dell'intensità, del colore e della posizione delle fasce, anche dell'intensità e colore degli anelli. Vi era una metodologia standard che permetteva analisi statistiche e confronti con le osservazioni straniere.

Nel n. 10/1990 di Astronomia, pp. 10-15, Tanga inaugurò i propri rapporti osservativi con quello relativo all'apparizione 1989. Nello stesso numero (p. 25), apparve un suo intervento sui notevoli ovali chiari apparsi nella EZ nel settembre - novembre 1990. In seguito, su [Astr., 10, 1991, pp. 16-23] Tanga produsse un rapporto completo su queste macchie.

Le eclissi e occultazioni mutue dei satelliti di Saturno, che avvengono a distanza di 15 anni, quando si azzera l'inclinazione dell'equatore del pianeta vista dalla Terra, erano un fenomeno a lungo trascurato. Tanga ne suggerì lo studio durante la presentazione degli anelli di taglio del 1995, con un'ampia un'ampia e dettagliata proposta, che si collocava all'interno del programma internazionale “PHESAT95” [Astr., 3, 1994, pp. 42-43] [4, 1994, pp. 25-28] [5, 1994, pp. 18-23]. Un successivo contributo osservativo su questi fenomeni apparve ad opera di M. Damiani e S. Foglia [Astr., 1, 1997, pp. 16-19].

Dopo Falorni

Il 23 dicembre 1995 Falorni morì, a 51 anni, mentre era da pochi mesi anche Presidente dell'UAI, dopo esserne stato per molti anni Vice-Presidente. Uscì uno struggente ricordo dei suoi amici e colleghi fiorentini sul n. 1/1996 di Astronomia, pp. 3-5. Lasciò un vuoto incolmabile sia come organizzatore, sia come divulgatore, sia come acutissimo osservatore, sia come amico di tanti astrofili italiani, che avevano apprezzato la schiettezza del suo ruvido ma brillante carattere toscano.

Sotto la guida di Falorni, la Sezione Pianeti era stata progressivamente riconosciuta come una delle più attive, scientificamente valide e meglio organizzate dell'UAI, e il carisma anche internazionale dell'uomo era parte integrante della sua anima.

Sul n. 4/1996 di Astronomia, pp. 5-12, uscì un suo rapporto postumo sulla regressione della calotta polare sud di Marte nel 1988 che, presentato nel 1992 a Violau, al Meeting Europeo degli Osservatori di Pianeti e Comete, avrebbe dovuto essere solo il primo di una serie di contributi su Marte che Falorni si apprestava a preparare.

Falorni fu ricordato dagli astrofili dell'Osservatorio di San Vittore, che fecero intestare a suo nome il pianetino 6640 da essi scoperto (1990DL) [Minor Planets Circular n. 27331, 1 giugno 1996].

La riunione dei coordinatori della Sezione Pianeti, tenutasi all'Osservatorio Ximeniano di Firenze il 24 febbraio 1996, nominò alla sua successione Tanga. Si doveva proseguire, cercando di portare avanti l'eredità del fondatore della Sezione.

Nel 1997 venne inaugurato un nuovo bollettino interno, “Alta Risoluzione”, per mantenere un rapporto più stretto e agile con gli osservatori, riportare iniziative, metodologie e risultati provvisori, note spicciole sulla vita della Sezione. Il bollettino n. 1 apparve nell'aprile 1997.

Alcuni coordinatori avevano acquisito un indirizzo e-mail, e per mezzo del web stava nascendo un modo tutto nuovo, efficace e immediato, di comunicare. Nel 1996 la Sezione si era affacciata timidamente su internet, ottenendo uno spazio all'interno del sito di McLink.

Una nota di Testa contenente un rinnovato invito all'osservazione planetaria apparve sul n. 1/1997 di Astronomia, pp. 20-23; essa ricapitolava le ragioni per tener vive le osservazioni visuali a scopo di sorveglianza sistematica, e le basi della metodologia da seguire.

La Sezione partecipò al 3° Meeting Europeo di Violau (febbraio 1997) con Leo, Quarra e Sarocchi, che riscossero un ammirato successo presentando elaborazioni digitali con animazioni di immagini ottenute nel 1996 all'Osservatorio di San Gersolé (ora Osservatorio “M. Falorni”). Si consolidarono in quella sede collaborazioni internazionali per lo studio di Venere, e con il gruppo tedesco che stava implementando il software per l'analisi delle misure posizionali di Giove (JUPOS) [Astr., 2-3, 1997, pp. 41-42].

Attraverso il bollettino venne lanciata la proposta di un gruppo di lavoro su Urano e Nettuno (con coordinamento di R. Lena), visto che sporadicamente questi pianeti venivano osservati in cerca di elusivi dettagli. L'iniziativa era temeraria ed ebbe per il momento poco seguito.

Nello stesso bollettino si annunciò l'attribuzione del Premio Senigalliesi 1998-99 a M. Frassati, che stava scalando le vette della celebrità fra gli osservatori italiani grazie a un occhio sensibilissimo e a una mano particolarmente abile nel disegno dei pianeti, in bianco e nero e ancor più a colori.

Venne organizzato il 3° Seminario Didattico, intitolato a M. Falorni, tenuto a Grosseto nel maggio 1998, con le consuete relazioni dei coordinatori, cui si aggiunsero alcuni qualificati contributi esterni ed esercitazioni (come la riproposta simulazione della stima della fase di Venere, predisposta da Sarocchi e Leo) [Astr., n. 2, 1999, pp. 29].

Sarocchi, completati gli studi accademici, trovò impiego in Messico. Il suo attaccamento alla Sezione fu tale che decise ugualmente di mantenere il coordinamento del programma osservativo di Venere. Tuttavia, poiché Quarra nel frattempo si stava dedicando allo sviluppo e alla consulenza delle nuove tecniche CCD, per tenere le fila delle osservazioni venusiane fu opportuno affiancare, dal 2000, un assistente, nella persona di R. Braga [Astr., 2, 2001, pp. 35-36].

Nel 2001 Braga scrisse una nota metodologica [Astr., n. 3, 2001, pp. 25-31], con suggerimenti e caveat sull'osservazione di Venere, che prendevano lo spunto dall'esame delle molte osservazioni in archivio: sottolineò la necessità di essere molto critici nell'analisi dei tenui particolari del pianeta, l'utilità di filtri per standardizzare i risultati, l'importanza di stime di intensità. Venne suggerito come discriminare le false visioni della luce cinerea, tramite l'uso di una barra occultante

Venne organizzato, assieme alla Sezione Luna, un ulteriore Seminario didattico “M. Falorni” di osservazione di Pianeti, Luna e Stelle Doppie, svoltosi fra il 29 aprile e il 1° maggio 2001 a Ostellato (FE), con il supporto del Gruppo Astrofili Columbia di Ferrara. Esso fu occasione di cordiali incontri, osservazioni ed esercitazioni pratiche, e non mancò il consueto calendario di lezioni teoriche. Non fu il primo né sarà l'ultimo di una serie di meeting per i quali Ostellato è divenuta famosa, come luogo di un tradizionale “star party” degli osservatori planetari, lunari e non solo, favorito dalla collocazione e configurazione geografica e dal favorevole seeing. Nel 2003, in particolare, vi si tenne un Seminario sull'osservazione di Marte, nell'imminenza della grande opposizione di quell'anno.

L'osservazione di Mercurio

Per le ricorrenti difficoltà organizzative che hanno attanagliato la vita dell'UAI, e portato a volte a una scarsa puntualità nell'uscita della rivista, la Sezione Pianeti si è valsa spesso, come visto, di bollettini interni. Nel 1992-93, ad esempio, ne uscirono alcuni che si appoggiavano editorialmente all'Associazione Astronomica Milanese. In uno di questi [Boll. SP UAI, 1, 1992], troviamo la prima proposta di formare un gruppo di osservatori di Mercurio. La proposta venne da M. Giuntoli, che delineò un'ipotesi degli scopi e delle metodologie osservative.

L'idea rimase sulla carta, finché viene riproposta dallo stesso Giuntoli nel n. 2/1994 di Astronomia (pp. 41-42), articolata stavolta in un più preciso programma di studio, che verrà coordinato dallo stesso Giuntoli. Certo, il piccolo e sfuggente pianeta non proponeva uno studio facile e i risultanti non avrebbero potuto essere eclatanti, ma si pensava di indagare, soprattutto attraverso osservazioni diurne, sospettate anomalie di fase e della forma del terminatore, ed eseguire indagini sui dettagli di albedo. L'anno seguente, Giuntoli curò un primo rapporto che si può considerare “dimostrativo”, che prendeva in esame alcune osservazioni italiane ed estere eseguite nel 1994 [Astr., n. 2, 1995, p. 33].

Nonostante le difficoltà insite nell'oggetto di studio, il programma registrò un successo lusinghiero, e le osservazioni cominciarono a pervenire con discreta continuità; particolarmente numerose, ricche e precise quelle di Frassati. Grazie a queste osservazioni fu possibile produrre sistematici rapporti annuali e infine una mappa di albedo del pianeta, che affiancò e confermò quella di D. Graham [Astr., 6, 1998, p. 18] e anzi la completò, riportando ulteriori piccoli dettagli. L'impegno di Frassati non si è fermato qui, anzi egli stesso sostituì Giuntoli nel 2002 quale coordinatore del programma.

La rivoluzione digitale

Con la fine del millennio si diffuse rapidamente la comunicazione tramite internet: l'ultimo bollettino cartaceo della sezione (n. 6, set. 2000) annunciò che il bollettino stesso “traslocava” in un sito web, intitolato allo stesso modo: “Alta Risoluzione”.

La nuova tecnologia ha portato enormi vantaggi non solo per l'immediatezza della comunicazione, ma anche per la ricchezza dei contenuti veicolati e la possibilità di un loro agile aggiornamento. Il sito web venne articolato in pagine che riportavano, oltre ai programmi, alle metodologie e alla modulistica scaricabile da ogni PC, notizie recenti sui pianeti e una galleria di osservazioni dei soci, disegni e fotografie ottenute con camere CCD e webcam. L'annuncio della nascita del sito web fu annunciato ai soci UAI su Astronomia, n. 2/2001, pp. 35-36.

Nel gennaio 2001 è stata attivata una mailing list della Sezione, AstroHiRes, che si appoggia a yahoo. In essa, gli osservatori dialogano fra loro e con i coordinatori scambiandosi informazioni e osservazioni, sia visuali sia fotografiche. Essa si è rivelata un mezzo per incrementare in modo significativo il numero delle osservazioni, potendo queste venire sottoposte agli altri soci, commentate e confrontate in tempo reale. Dalle decine di messaggi al mese scambiati all'inizio, si è passati ben presto alle centinaia, sulla spinta dell'annuncio di fenomeni di rilievo, o per reciproca emulazione degli spettacolari risultati che producevano le nuove camere digitali.

Nel 2007 il sito web è stato convertito alla modalità wiki, che lo rende più agevolmente editabile da parte dei coordinatori, anche sprovvisti delle capacità di webmastering. E' stato attivato un archivio di osservazioni on line, sia visuali che fotografiche, con l'intenzione di raccogliere l'intero corpus delle osservazioni pervenute alla Sezione (almeno quelle già in formato digitale), e mantenerlo aggiornato di apparizione in apparizione.

La “rivoluzione” webcam ha cambiato profondamente, in molti sensi, il modo di essere dell'astrofilo planetario. I nuovi sensori, dai costi ridotti, hanno permesso di acquisire filmati dei pianeti con molti fotogrammi al secondo, con sensibilità e tempi di posa così ridotti, rispetto alla tradizionale fotografia “chimica”, da riuscire a “congelare” il seeing: da migliaia di fotogrammi, acquisiti in pochi minuti, software gratuitamente disponibili su internet permettono di estrarre il sottoinsieme delle immagini migliori, “compositarle” ed elaborare il risultato mediante algoritmi di deconvoluzione, che estraggono tutta l'informazione contenuta, fornendo immagini planetarie competitive con quelle ottenibili solo pochi anni prima con le migliori tecnologie professionali. In pratica, si può ottenere una risoluzione vicina a quella teorica del sistema strumentale, perfino in serate di seeing relativamente agitato, e registrare con regolarità dettagli che un tempo erano colti solo dai migliori osservatori visuali, dotati di ottimi strumenti, usati in condizioni ideali, con l'ulteriore vantaggio che la registrazione si presta ad accurate misure posizionali. Con sensori dalla risposta lineare e l'impiego di filtri standard, si può anche fare fotometria e colorimetria.

Impressiona la rapidità del cambiamento: agli inizi del millennio la maggior parte delle osservazioni svolte erano ancora visuali, pochi pionieri sperimentavano le nuove tecniche. Queste ultime venivano descritte in articoli di messa a punto, ad esempio da Tanga [Astr., 4, 2000, pp. 3-9], ma erano ancora percepite come cose per iniziati. Nel giro di un paio d'anni, tuttavia, quasi tutti si sono “convertiti” al digitale, e gli osservatori visuali sono divenuti improvvisamente una sparuta minoranza, addirittura in pericolo di estinzione. Hanno favorito questa rivoluzione le versatili webcam Philips (Toucam, Vesta), che hanno preparato la strada ad ancora più potenti (ma più care) fotocamere sviluppate per l'astronomia, come le Lumenera e altre. Si sono moltiplicati i software che permettono un'agevole programmazione delle osservazioni (effemeridi), e la veloce misura, archiviazione, analisi delle stesse, come il programma WinJUPOS, sviluppo del vecchio JUPOS.

Gli anni recenti

Le tecnologie odierne impongono un aggiornamento profondo delle metodologie osservative. La stima visuale dei tempi di transito al Meridiano Centrale delle macchie di Giove era stato per decenni il principale strumento per indagare l'atmosfera di questo pianeta. Un osservatore esperto, in condizioni favorevoli, poteva raccogliere qualche decina di transiti in lunghe ore al telescopio; ora, una singola immagine digitale di media qualità può fornire la stessa quantità di dati (non solo le longitudini, ma anche le latitudini dei dettagli), con precisione molto migliore. Dettagli che sfuggivano all'osservatore visuale, per capricci del seeing o basso contrasto intrinseco, ora sono sistematicamente registrati. I transiti, a meno di situazioni estreme, sono diventati improvvisamente inutili.

Cosa può fare ancora l'osservatore visuale? La risposta non è univoca, c'è chi dice che è inutile perdere tempo a seguire i pianeti con l'occhio incollato all'oculare; un altro filone di pensiero afferma invece che uno spazio per il visualista è rimasto. Esclusa l'utilità di misure posizionali, si tratta di effettuare stime di intensità, colore, prominenza dei dettagli. Gli imager digitali raramente calibrano in modo scientifico le loro immagini; essi mirano ad accentuare i contrasti e i colori ma, così facendo, nasce il pericolo di introdurre artefatti, spesso indistinguibili da dettagli veri.

E' difficile riprodurre col sensore elettronico la curva di sensibilità dell'occhio umano, anche usando filtri. Per tutto questo, le immagini digitali rischiano di essere poco comparabili con le osservazioni del passato. Questo è il motivo per cui è forse opportuno che rimanga un certo numero, pur piccolo, di osservatori visuali. Altri sottolineano che la conoscenza visuale delle superfici planetarie è l'unica insostituibile palestra per allenare l'imager digitale ad effettuare elaborazioni veritiere dei suoi filmati, qualcosa che abbia validità scientifica piuttosto che artistica.

La grande opposizione di Marte del 2003, in particolare, fa emergere pregi e difetti delle nuove tecniche. Essa viene raccontata quasi in tempo reale da una serie di interim report di Tanga [Astr., 5, 2003, pp. 9-10; 6, 2003, pp. 7-9 e 10-11] e dai numerosi interventi su AstroHiRes. Nell'imminenza, la Sezione vi dedica un numero monografico di Astronomia (n. 3/2003), con la presentazione delle prospettive di osservazione, visuale e digitale, la storia dell'areografia e della cartografia del pianeta, articoli sulle tempeste di polvere, i satelliti del pianeta, le imprese spaziali che coinvolgono il Pianeta Rosso.

Le numerosissime osservazioni raccolte durante la grande opposizione fanno emergere l'importanza di fissare standard di acquisizione, elaborazione e presentazione delle immagini, standard che i coordinatori giungono infine a elaborare e a richiedere. Il sensore CCD è più sensibile al rosso che al blu, e raccoglie una parte del vicino IR, fino a circa 1 micrometro; si chiede pertanto di selezionare con appositi filtri precise bande spettrali, in particolare quella visuale, singoli colori, oppure l'infrarosso. Per la sua utilità scientifica, per facilitarne catalogazione e analisi, l'immagine deve essere accompagnata da alcuni dati essenziali. A volte, dal processo di elaborazione, o per l'uso improprio di un prisma nel cammino ottico, escono immagini invertite a specchio, senza che ciò sia in alcun modo specificato; una simile noncuranza genera dubbi interpretativi, specialmente su pianeti dall'aspetto simmetrico.

Il transito di Venere sul Sole dell'8 giugno 2004 (rarissima evenienza, il precedente era avvenuto nel 1882), “preparato” da un transito di Mercurio del 7 maggio 2003, è occasione di gran fermento, relazioni preparatorie, discussioni metodologiche sulle strategie osservative. Svoltosi in un giorno sereno in tutta Italia, è stato oggetto di enorme interesse e di una gran mole di risultati, ottenuti con le più svariate tecniche.

I cambiamenti organizzativi più recenti

Nel frattempo, il Consiglio Scientifico della Sezione ha visto susseguirsi diversi avvicendamenti. Nel 2001 Testa ha lasciato la Segreteria a Frassati. Nello stesso anno, A. Carbognani è entrato fra i coordinatori, come nuovo animatore del gruppo di ricerca per Urano e Nettuno [Astr., 2, 2001, pp. 35-36]. Tale studio, che appariva francamente troppo ambizioso per la vecchia astrofilia, ha qualche senso con l'applicazione dei più potenti telescopi amatoriali, accoppiati alle tecniche digitali. Carbognani propone un programma di studio (ricerca di macchie e bande, stime di magnitudine) sul n. 4/2001 di Astronomia, pp. 4-9; in un successivo articolo, riporta alcune promettenti osservazioni visuali e spettroscopiche, eseguite in Italia e all'estero [Astr., 5, 2002, pp. 15-19].

Nel 1999 Testa è uscito dalla Sezione, sostituito nel coordinamento del programma Saturno da I. Dal Prete [Astr., 1, 2000, p. 9]. Il primo rapporto osservativo a firma del nuovo responsabile (apparizione 1998-99), è pubblicato nel n. 2/2001 di Astronomia, pp. 18-30. Nel 2004 la gran mole di risultati prodotti su Giove spinge ad affiancare un assistente a Adamoli, individuato nella persona di M. Vedovato.

Nell'aprile 2006 si tiene a Nizza un incontro del Consiglio Scientifico della Sezione con il Presidente UAI, E. Sassone Corsi, e il Consigliere Responsabile per le Attività Scientifiche, C. Lopresti. Si fa il punto della situazione e si esplorano nuove prospettive. Braga (non presente), tipico osservatore della “scuola” visuale, si trova in difficoltà a gestire risultati che sono per la maggior parte immagini digitali; per questo motivo, cede il coordinamento di Venere a Carbognani.

Altri programmi (Marte, Saturno) vengono giudicati in sofferenza per ritardi nell'uscita dei rapporti osservativi. Appaiono più regolari le pubblicazioni relative a Mercurio e Giove; in particolare, per Giove appare ormai consolidata una intensa e fruttuosa collaborazione internazionale, soprattutto con gli astrofili tedeschi del progetto JUPOS, con i quali Adamoli e più recentemente Vedovato si sono incontrati più volte. Vi sono contatti anche con francesi (Jacquesson), inglesi (il Direttore della Jupiter Section della BAA, J. H. Rogers), e osservatori di tutto il mondo.

Sempre alla riunione di Nizza, emerge la necessità di rendere più funzionale il sito web, cosa che avverrà l'anno dopo, con l'adozione della modalità wiki, con l'aiuto di L. Bardelli (che diventerà anche assistente del programma Marte), e di J. Baldi. Si prospetta la necessità di una riedizione aggiornata dell'ormai vetusto Manuale di Sezione, e l'organizzazione di ulteriori Seminari osservativi didattici. Sassone Corsi ha in mente un futuro archivio di tutto il materiale della Sezione, prodotto in decenni di osservazione (da tenere a Roma, presso quella che diverrà la futura sede nazionale UAI presso l'INAF). Ma per rendere operativo tutto ciò, lo staff della Sezione dovrà essere irrobustito.

Viene proposta inoltre l'istituzione di un Premio “M. Falorni”, che si decide di assegnare, con cadenza annuale, a osservatori che producano risultati particolarmente brillanti e scientificamente accurati. I primi beneficiari del premio sono due fra i migliori astrofotografi italiani della generazione digitale, le cui immagini mostrano un fantastico dettaglio, oltre a essere esteticamente bellissime: rispettivamente, C. Fattinnanzi è stato premiato nel 2006, T. Olivetti nel 2007.

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