Tecniche visuali: Osservare

Da Sezione Pianeti UAI.

Versione delle 21:34, 5 mar 2007, autore: Paolo (Discussione | contributi)
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Imparare a vedere.

Per quanto sorprendente, il primo apprendistato dell' osservatore planetario consiste nell' imparare a vedere. Chiunque abbia mostrato a un pubblico laico un' immagine planetaria conosce la perplessita' e la delusione piu' o meno mascherate che essa suscita. Eccezion fatta, s' intende, per gli anelli di Saturno! Solo rispondendo a precise domande l' osservatore casuale ammette di vedere "qualcosa", rivelando comunque una notevole difficolta' a percepire anche i dettagli piu' "appariscenti" di una superfice planetaria. Tutto questo e' perfettamente normale.

L' occhio si trova in una condizione di lavoro del tutto inusuale di fronte a una immagine piccola e abbagliante su fondo scuro, ed il cervello e' del tutto impreparato ad elaborare i segnali che riceve. Solo il tempo e l' allenamento mettono a punto il sistema di ricezione. Non solo. Ogni Pianeta ha, sotto questo aspetto, caratteristiche diverse.

Il piu' facile da osservare e' certamente Giove. Relativamente grande, non esegeratamente luminoso, consente un adattamento alla visione abbastanza rapido. Cosi' come Saturno, del resto, per il quale le difficolta' sono piu' oggettive, date dalla piccolezza del disco e dalla modestia, di solito, dei particolari osservabili. Per Venere il discorso si fa delicato in quanto, anche ponendo in essere tutti gli accorgimenti possibili, le elusive ombreggiature del Pianeta cominciano ad emergere solo dopo un periodo di adattamento non trascurabile.

Dimensioni relative apparenti dei pianeti, a fasi diverse per Venere e Mercurio. Marte è rappresentato in opposizioni afeliche e perieliche; Giove e Saturno alla distanza media all'opposizione.

Marte e' l' oggetto piu' difficile. Piccolo, luminosissimo, rappresenta indubbiamente il caso limite. A prescindere dalle difficolta' oggettive date dalla piccolezza del disco e quindi dal forte ingrandimento che richiede, ingrandimento che amplifica il disturbo della turbolenza atmosferica e che impegna l' osservatore anche sul piano fisico costringendolo a una rigida immobilita' e, non di rado, a trattenere anche il respiro, Marte richiede un periodo di adattamento alla visione particolarmente lungo e impegnativo. Possono essere necessarie anche alcune diecine d' ore di osservazione prima che le macchie comincino a venir fuori. Poi, quasi all' improvviso il dischetto si popola di innumerevoli particolari, premio sicuramente proporzionato all' impegno.

E' interessante notare come la fase di adattamento si ripeta, pur in scala minore, all' inizio di ogni periodo di osservazione, che segue il forzato intervallo di una anno circa, dovuto alla lontananza del Pianeta, e alla sua apparente vicinanza al Sole.

Acquisita la capacita' di vedere, puo' succedere che l' osservatore voglia andare oltre, superando i limiti del combinato occhio-cervello-telescopio. Non e' raro il caso di osservatori che, muniti di un piccolo telescopio, riescono a "vedere" piu' particolari di altri meglio equipaggiati.

Fermo restando che l' attitudine individuale giuoca un ruolo non trascurabile, il fenomeno trae origine dal difetto di risoluzione del telescopio che si combina con le indebite integrazioni che il cervello induce - a seguito della memorizzazione di tantissime immagini comunque acquisite - in una sorta di aspettativa piu' o meno conscia. E' appena il caso di osservare che il processo si replica anche se si utilizzano grossi telescopi: cambia solo l' ordine di grandezza.

Per vedere bene e' dunque necessario allenamento e rigido autocontrollo, che pero' non deve sconfinare nell' autocensura. Si deve registrare solo cio' che si vede con certezza, ma non si deve aver timore di riferire anche le "impressioni", che possono trasformarsi in certezze in sede di analisi e confronto.

Vi sono delle tecniche per migliorare la percezione di particolari prossimi ai limiti di risoluzione. Alcuni suggeriscono di alternare alla visione "continua" quella del "colpo d' occhio", che consiste nel chiudere l' occhio per alcuni istanti e riaprirlo guardando l' oggetto per una frazione di secondo. Altri hanno rilevato che imprimendo un colpetto al telescopio si puo' sfruttare la tipica attitudine dell' occhio a percepire gli oggetti in movimento. Probabilmente la tecnica che ha un maggior fondamento consiste nel lasciar scorrere l' immagine nel campo dell' oculare, disinserendo il movimento di inseguimento: oltre al vantaggio di cui si e' detto, puo' esservi quello di eliminare eventuali micro-vibrazioni dello strumento che possono "impastare" l' immagine, specialmente a forti ingrandimenti. In ogni caso questi o altri espedienti dovrebbero essere praticati con parsimonia, ricordando che l' osservazione non e' una prestazione sportiva, e che l' accurata rilevazione di quanto e' visibile con evidenza e' gia' un compito impegnativo e remunerativo. Un ovale chiaro su Saturno, una tempesta di polvere su Marte o l' eruzione in una banda di Giove sono eventi che un osservatore esperto coglie con relativa facilita`: quasi mai la visione "passiva" e' fonte di errore; quella esasperata va sempre trattata con grande prudenza.

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